Banche centrali mondiali, attesa per le decisioni di questa settimana
Intanto venerdì, negli Stati Uniti, saranno pubblicati numerosi dati macro, tra cui il più importante è il job report
2 min
La recente decisione di Mario Draghi di lasciare invariati i tassi di interesse era ampiamente prevista e proprio per questo non ha agitato i tranquilli mercati estivi. La Bce continua ad aspettarsi che “i tassi chiave resteranno agli attuali livelli almeno fino all’estate 2019 e in ogni caso tutto il tempo necessario per assicurare che lo sviluppo dell’inflazione resti allineato con le attuali aspettative di un sostanziale percorso di aggiustamento”. Anche se, come spiega Antoine Lesné, responsabile strategia e ricerca Emea di Spdr ETFs, “i dati deludenti sull’inflazione core di giugno potrebbero causare lo slittamento del primo rialzo dei tassi previsto; ma l’estate 2019 rimane ben posizionata, poiché i dati sottostanti, come quelli relativi ai salari, suggeriscono un’accelerazione dell’inflazione”.
Il direttivo della Banca centrale europea ha confermato, inoltre, la decisione dello scorso giugno di ridurre il Qe di 15 miliardi di euro al mese da ottobre a dicembre, per poi portarlo a zero a partire da gennaio 2019. Andrew Wilson, Ceo di Goldman Sachs Asset Management International per l’area Emea, sostiene che il meeting della Bce abbia “prodotto poche informazioni nuove per quanto riguarda l’outlook di politica monetaria in seguito all’aggiornamento della forward guidance del mese scorso. Per questo Wilson continua ad aspettarsi il primo aumento dei tassi verso la fine del 2019, sebbene il bilanciamento dei rischi sia orientato verso una mossa successiva: “Il rischio ridotto di deflazione garantisce una certa normalizzazione della politica monetaria, ma a nostro avviso la low-flation richiederà un’estensione della politica monetaria accomodante”.
Intanto la crescita dell’Eurozona prosegue, anche se le difficoltà non mancano. Mathilde Lemoine, group chief economist di Edmond de Rothschild, spiega che “la crescita dovrebbe rallentare all’1,8% nel 2018 e all’1,6% nel 2019, dopo il 2,5% registrato nel 2017, in linea con la minore crescita del settore delle costruzioni e il precedente apprezzamento dell’euro. Lemoine ha affermato che “il rischio al premio politico potrebbe aumentare nuovamente nel 2018 e nel 2019 dopo aver raggiunto il punto minimo in seguito all’elezione di Emmanuel Macron, poiché i progressi istituzionali europei dovrebbero rimanere bloccati a causa della situazione politica in Italia, ma anche in Spagna e in Germania”.
Più ottimista Gero Jung, chief economist di Mirabaud Am, secondo cui “gli ultimi dati economici indicano una ripresa nell’attività dell’Eurozona. Le cifre mostrano un incremento del Pil del 2,3 per cento. Riteniamo che la crescita nel secondo semestre si manterrà solida, con una produzione in aumento al di sopra del potenziale. Uno dei driver principali è la domanda interna, che è in miglioramento, e l’ultimo sondaggio Pmi sui servizi nella zona euro è in linea con questo quadro”.
Didier Saint-Georges, managing director e membro del comitato investimenti di Carmignac, mette però in guardia gli investitori. L’arretratezza delle riforme strutturali dei Paesi dell’Eurozona “potrebbe diventare lampante tra qualche mese, quando l’economia rallenterà, a maggior ragione se la decelerazione coinciderà con la progressiva riduzione del sostegno della Bce. Infatti – spiega l’esperto – in assenza di riforme tali da consentire la riduzione dei tassi d’indebitamento, i mercati non concederanno più ai Paesi periferici più fragili il lusso di poter ricorrere all’arma del bilancio senza che ciò comporti un rialzo dei tassi di interesse”.
Saint-Georges prevede che “questa prossima fase del ciclo economico comporterà per gli investitori la necessità di abbandonare i riflessi acquisiti a partire dal 2012 e di ripensare radicalmente la propria gestione dei rischi di mercato”.