Confermato il rimbalzo del Pil 2024 a +1,5%. Ma contro l’inflazione le autorità monetarie e di bilancio dovranno essere ancora restrittive. “È più importante degli effetti negativi sulla produzione”
A otto giorni dalla riunione di politica monetaria, l’Ocse invita la Banca Centrale Europea a proseguire con la stretta. Il messaggio è contenuto nell’ultimo studio sull’Unione Europea e l’Eurozona, nel quale l’organizzazione parigina conferma le precedenti stime di crescita per la regione e prevede anche un rimbalzo del Pil pari all’1,5% nel 2024. L’avvertimento però è chiaro e non riguarda solo le prossime mosse dell’Eurotower ma anche quelle dei governi. “Le prospettive di breve termine sono offuscate da incertezza e rischi di peggioramento”, si legge, e le politiche di bilancio degli Stati “devono diventare sufficientemente restrittive”.
Per gli economisti Ocse, la crescita nella Zona euro dovrebbe riprendere progressivamente, passando dallo 0,9% del 2023 all’1,5% del 2024, mentre l’inflazione dovrebbe scendere al 5,8% quest’anno e al 3,2% il prossimo, restando comunque superiore all’obiettivo del 2%. Anche se i tassi di interesse più alti stanno amplificando le vulnerabilità finanziarie, soprattutto nei Paesi con alti livello di debito privato e una forte proporzione di mutui ipotecari a tasso variabile, e “cominciano a pesare sull’economia”, secondo l’Organizzazione l’azione dell’Eurotower è “largamente appropriata”. E va portata avanti.
“Le politiche monetario e di bilancio siano restrittive”
Per ridurre i prezzi, viene sottolineato nel report, “bisognerà continuare a condurre una politica monetaria restrittiva e raddoppiare gli sforzi affinché la politica fiscale sia meglio orientata e più duratura”. In particolare, visto il carattere “generalizzato e persistente dell’inflazione”, le autorità monetarie e di bilancio devono “agire in sinergia per poter attenuare durevolmente le tensioni latenti”. Perché, anche se l’indice complessivo sta scendendo, quello core resta su livelli elevati. E la crescita dei salari sta accelerando. Per questo, secondo l’Organizzazione, il controllo delle aspettative di inflazione resta cruciale e “può essere più forte delle considerazioni riguardanti gli effetti negativi sulla produzione”.
Per la Bce tutte le strade restano aperte
Intanto da Francoforte continuano ad arrivare dichiarazioni che lasciano valida ogni ipotesi per il meeting del 14 settembre. Klaas Knot, ‘falco’ olandese del board, ha sottolineato che un ulteriore rialzo dei tassi d’interesse è “una possibilità ma non una certezza”, precisando però che “i mercatipotrebbero sottovalutare la possibilità di un aumento”. Più morbida la ‘colomba’ francese Francois Villeroy de Galhau: “Le nostre opzioni sono aperte per questa riunione così come per le successive. Ma sono convinto che siamo vicini o molto vicini al punto al picco”, ha detto. Immediata la precisazione del membro tedesco Joachim Nagel, secondo cui per giovedì prossimo restano aperte tutte le strade, “ma sarebbe sbagliato ipotizzare che un picco dei tassi di interesse sarà presto seguito da tagli”. Più duro il governatore slovacco Peter Kazimir, per il quale un altro ritocco è necessario e sarebbe preferibile attuarlo a settembre per poi fermarsi, piuttosto che prendersi una pausa per poi agire a ottobre o dicembre.
Cosa serve alla Bce per fermarsi
Sylvain De Bus, deputy head of Global Bonds di Candriam
Secondo Sylvain De Bus, deputy head of global bonds di Candriam, per ammorbidire l’orientamento della politica monetaria, Christine Lagarde e colleghi hanno diversi elementi da tenere sotto controllo: la dinamica dell’inflazione è sicuramente l’elemento cruciale ma anche la traiettoria dell’economia e la trasmissione della politica monetaria contano. “Un marcato rallentamento dei prezzi core nei prossimi mesi, un’inflazione headline che converge chiaramente verso l’obiettivo nel suo orizzonte di previsione, un’economia dell’Eurozona che si muove marcatamente in territorio recessivo o una trasmissione meno ordinata dell’inasprimento monetario sono i principali fattori che potrebbero innescare un ammorbidimento della politica monetaria”, afferma.
Sul fronte prezzi, l’esperto ritiene saranno fondamentali i segnali di un’inflazione che si muova più chiaramente verso l’obiettivo del 2% nell’orizzonte di previsione, insieme a una decelerazione più pronunciata dell’indice core, nell’area del 5%. Infine, anche improvvisi shock estremi come quelli verificatisi in passato potrebbero sicuramente portare a una rivalutazione della politica monetaria.
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