A gennaio l’indice composito è tornato in area di espansione a 50,2 punti. Per gli investitori la recessione non ci sarà. E, vista l’inflazione elevata, la Bce proseguirà con la stretta monetaria
Contrordine: per l’Eurozona la recessione non è scontata né tantomeno imminente. Il segnale forte e chiaro è arrivato dai Pmi di gennaio, che mostrano un ritorno della crescita e della fiducia. Per la prima volta dal giugno scorso, infatti, l’indice destagionalizzato composito della produzione è salito superando quota 50, lo spartiacque tra contrazione ed espansione, passando da quota 49,3 di dicembre a quota 50,2. Si tratta del terzo aumento consecutivo ma soprattutto, appunto, del primo segnale di aumento dell’attività economica, anche se marginale, dopo sei mesi consecutivi di declino.
La fiducia è balzata in alto indicando un forte miglioramento delle prospettive di attività nei prossimi dodici mesi, mentre gli ordini mostrano un tasso di contrazione ridotto. Ha poi preso slancio anche la crescita occupazionale, con le aziende che si preparano a un anno migliore rispetto a quanto previsto. Secondo rilevazione di S&P Global, l’indice Pmi manifatturiero è salito a gennaio a 48,8 punti dai 47,8 di dicembre, oltre i 48,5 punti attesi dagli analisti e toccando il massimo da cinque mesi. Bene anche il Pmi dei servizi, a quota 50,7 punti, il top da sei mesi, rispetto ai 49,8 precedenti e meglio dei 50,2 stimati.
Bene la Germania, ancora in calo Parigi
“Un consolidamento dell’economia della Zona euro si aggiunge alla prova che si potrebbe sfuggire alla recessione. Il sondaggio suggerisce che il punto più basso è stato raggiunto in ottobre. Allo stesso tempo, lo stress della catena di approvvigionamento si è attenuato e più recentemente la riapertura dell’economia cinese ha contribuito a ripristinare la fiducia”, ha sottolineato Chris Williamson, chief business economist di S&P Global Market Intelligence.
Nel dettaglio dei Paesi, il Pmi composito della Germania si è attestato a 49,7 punti a gennaio, in aumento rispetto a rispetto ai 49 di dicembre: sebbene sia ancora in territorio di contrazione per il settimo mese consecutivo, l’ultima lettura è stata la più alta e ha segnato il terzo aumento mensile consecutivo. Il miglioramento è dovuto ai segnali di ripresa nel settore dei servizi, mentre l’indicatore della produzione manifatturiera continua a indicare una lieve flessione, con un valore di 48,4 punti per il secondo mese consecutivo. Peggio è andata alla Francia, il cui indice composite è risultato in lieve flessione, a 49 punti, dai 49,1 di dicembre, segnando un terzo mese consecutivo di calo delle attività imprenditoriali private.
Steven Bell, chief economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments
La recessione è quindi cancellata o solo rimandata? Secondo Steven Bell, chief economist Emea di Columbia Threadneedle Investments, per l’Europa, dove si è assistito a un calo dei prezzi del gas, inizia a prospettarsi un 2023 di crescita lenta ma senza recessione. “A differenza dei cugini statunitensi – spiega – i consumatori europei non hanno attinto ai loro ‘salvadanai da Covid’, perché troppo spaventati dalla prospettiva di bollette energetiche elevate. Senza dubbio i redditi reali in Europa sono stati compressi, ma la disoccupazione rimane bassa e con l’avvicinarsi della primavera è probabile che i risparmiatori si sentano più fiduciosi. La spesa dei consumatori dovrebbe pertanto aumentare”.
Una situazione diversa da quella degli Stati Uniti, dove Bell vede ancora probabile la recessione nonostante il miglioramento dell’inflazione sta facendo aumentare le possibilità di un atterraggio morbido, le probabilità sono ancora a favore di una recessione. “La rigidità del mercato del lavoro fa sì che l’inflazione salariale sia troppo alta e che la Federal Reserve non possa, di conseguenza, allentare la presa”, sottolinea.
Dello stesso parere Federico Vetrella, market strategist di IG Italia, secondo cui le stime Pmi di gennaio sembrano indicare che il peggio sia passato sebbene permangano motivi di preoccupazione per una recessione che, se dovesse verificarsi, sarebbe però di lieve entità. “Dal nostro punto di vista – afferma – crediamo che le prospettive economiche nel Vecchio Continente si siano ormai avviate in una direzione migliore soprattutto grazie al calmieramento dei prezzi delle materie prime energetiche”. “Nonostante ciò – avverte però Vetrella – le pressioni inflazionistiche, sebbene in rallentamento, continuano ad essere troppo elevate, fattore che influirà sulle decisioni di politica monetaria della Bce e sul mantenimento della sua stretta monetaria nei prossimi mesi”.
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