L’industria è alla ricerca di assetti organizzativi più efficienti per servire al meglio le grandi famiglie imprenditoriali del Paese. Spazio alle aggregazioni per aumentare le competenze extra-finanziarie, dall’arte alla filantropia. Ma la finanza rimane centrale. Ne parliamo con due esperti del settore
Josip Kotlar, professore associato di Strategy e Family Business al Politecnico di Milano
Dal primo progetto di ricerca sui family office italiani realizzato da School of Management del Politecnico di Milano e la Libera Università di Bolzano (“La trasformazione del Family Office”) emerge chiaramente un trend. Il rapporto evidenzia che il family office italiano è tendenzialmente “finanza-centrico”, con un elevato grado di internalizzazione delle attività di natura finanziaria, soprattutto se confrontato con le altre attività di un family office olistico. Quest’ultimo è ancora piuttosto raro in Italia.
“Il mercato appare piuttosto ampio, ma anche molto frammentato. Oggi i family office italiani si stanno interrogando su quale sia la forma organizzativa più efficiente per servire al meglio le famiglie, senza sopportare costi troppo alti, e nel rispetto delle normative”, spiega a FocusRisparmio Josip Kotlar, professore associato di Strategy e Family Business al Politecnico di Milano.
L’approfondimento completo sul rapporto “La trasformazione del Family Office” si trova nel numero di FocusRisparmio di Novembre- Dicembre 2021. Scaricalo qui.
Family office: single o multi, bancari o non?
Il progetto di ricerca delle due università censisce 178 family office che includono 169 strutture attive in Italia e 9 operanti all’estero, pur facendo riferimento a famiglie imprenditoriali italiane. Fra questi esistono differenti tipologie, differenziate prevalentemente per il tipo di struttura organizzativa scelta. Secondo l’indagine il 37% delle strutture italiane è un single family office, in cui una sola famiglia è sia l’attore controllante sia l’unico che fruisce dei servizi. Il secondo archetipo è il multi-family office professionale, al quale è riconducibile il 51,7% delle strutture. Questa tipologia è controllata da professionisti provenienti dal mondo della consulenza, del private banking e del wealth management. L’11,8% è riconducibile a organizzazioni di origine bancaria, solitamente di private banking evoluto e di wealth management.
“Nel futuro mi aspetto sicuramente una crescita delle organizzazioni di origine bancaria che offrono servizi di family office a clienti privati o ultra-high-net-worth individuals (Uhnwi), non tanto nel numero quanto per profondità di servizi offerti. Infatti, molti degli intervistati si stanno attrezzando per erogare servizi più complessi, anche tramite collaborazioni esterne”, afferma Kotlar.
Tra le organizzazioni non bancarie, invece, è il momento dell’evoluzione del single family office, che si dimostrano molto impegnati nel creare strutture organizzative più complesse, e reperire nuove competenze e profili professionali necessari per una gestione professionale del patrimonio di famiglia.
“Abbiamo anche notato alcuni single family office che si apprestano ad aprirsi verso una clientela estesa, a diventare di fatto dei multi-family office, anche attraverso l’aggregazione con altri single family office. Mi aspetto quindi una crescita complessiva, trainata in primis dalla crescente consapevolezza delle famiglie imprenditoriali italiane relativamente alle tematiche di gestione del patrimonio e sostenibilità di lungo periodo. Ovviamente, l’offerta non si sta facendo attendere, come dimostrato dal crescente numero di multi-family office che sviluppano più competenze trasversali per ampliare il menù dei servizi offerti”, analizza il professore.
Family office e consulenza olistica, differenze e trait d’union con il wealth management
Il comun denominatore che unisce i family office italiani sono le attività core, legate a definizione dell’asset allocation, monitoraggio degli investimenti, account aggregation e supporto nel passaggio generazionale. Con riferimento al livello di internalizzazione si registra che le attività finanziarie sono tipicamente sviluppate internamente. L’advisory finanziaria è l’unica tra tutte le attività core che non viene mai esternalizzata.
Kotlar sostiene che “lato domanda le famiglie hanno bisogni sempre più complessi che toccano temi di capitale finanziario, socio-emotivo e umano. Tali temi sono ancor più complicati in presenza di una successione o passaggio generazionale”, mentre dal lato dell’offerta di servizi il wealth management tradizionale è “molto orientato agli aspetti finanziari, mentre spesso vengono tralasciati quelli legati al patrimonio complessivo, e soprattutto alla sfera più personale del cliente imprenditore. È qui che trovano terreno fertile i family office moderni”.
Patrizia Misciattelli delle Ripe, fondatrice e presidente di Aifo
Inoltre, per un family officer l’esperienza finanziaria è importante, ma non sufficiente. Patrizia Misciattelli delle Ripe, fondatrice e presidente di Aifo – Associazione Italiana Family Officer sostiene che “l’esperienza finanziaria può essere un requisito importante, a cui tuttavia devono essere affiancate specifiche capacità di risk assessment, pianificazione, capacità di visione strategica, oltre ad autorevolezza nel guidare un team di esperti diversi per ogni progetto/famiglia”.
Gli investimenti e il ruolo dell’asset management
Nonostante il family office italiano non sia tradizionalmente un investitore frequente di private equity e venture capital, dal 2015 ben il 90% di essi approccia questo tipo di investimenti, con netta prevalenza dello strumento club deal (utilizzato dall’86,2%) seguito dal co-investimento (78,5%), dall’investimento diretto (73,8%) e da quello indiretto (il fund investing, 61,5%). Nei prossimi 12 mesi, circa il 64% dei family office prevede di effettuare tra 1 e 5 investimenti in private equity, e poco più del 15% ne ha pianificati oltre sei.
Tipicamente, si evince dal report, i servizi di family office seguono una logica più olistica rispetto all’asset management tradizionale. “Spesso vengono privilegiati gli investimenti diretti in start-up e imprese innovative, anche se ciò comporta rischi elevati e minore liquidità. A volte le famiglie preferiscono diversificare investendo in settori non correlati rispetto al core business principale; altre volte è invece proprio la competenza e il network della famiglia che porta a cogliere opportunità in settori più contigui. Per la componente mediata la maggioranza preferisce acquistare prodotti da gestori specializzati, prevalentemente in classe istituzionale”, chiosa Kotlar.
Sul rapporto fra family office e asset management interviene anche Misciattelli delle Ripe: “Il family office è un centro di controllo il cui scopo è garantire la longevità di un grande patrimonio lungo le generazioni. Le componenti di una globale ricchezza storicizzata possono avere elementi di scarsa redditività ma di forte componente identitaria (arte, immobili, heritage, partecipazioni) che li rendono non liquidabili. Il primo ruolo dell’asset management è proprio quello di garantire con la performance finanziaria la compensazione di questi squilibri e proteggere il patrimonio nel suo valore integrato – argomenta – Quindi la relazione tra family office e asset management deve sempre prevedere massima personalizzazione e non identificare la parola “protezione” solo con conservazione ma anche con dinamica allocazione per una ricerca di sovraperformance”.
Family office e innovazione
In chiave di innovazione e nuove tecnologie digitali le aree in cui i family office italiani avvertono maggiori necessità di miglioramento sono l’efficacia degli strumenti per account aggregation e consolidato famigliare multi-asset, l’analisi e la sintesi dei dati multi-asset tramite dashboard. “Emerge fortemente l’esigenza delle famiglie imprenditoriali di avere visibilità e monitoring degli investimenti, anche attraverso l’uso sapiente delle tecnologie digitali che permettono di sviluppare dashboard integrate”, conclude Kotlar.
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