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Il report UBS: il timore di una guerra commerciale sta spostando l’asset allocation verso i mercati liquidi. Meno private equity ed Emergenti, più gestione attiva e metalli preziosi. Solo una famiglia su due ha un piano di successione patrimoniale
Con gli occhi ben puntati sulla possibile guerra commerciale, i family office di tutto il mondo (italiani compresi) stanno rivedendo la loro allocazione strategica puntando in particolare sugli asset tradizionali e sui mercati sviluppati. Con una particolare attenzione alla protezione dei portafogli, affidata a strategie di hedging che vanno dalla gestione attiva all’hedge funding fino ai metalli preziosi. È quanto emerge dall’UBS Global Family Office Report 2025, che fotografa anche un aspetto preoccupante: nonostante sia in corso il più grande trasferimento di ricchezza della storia, solo poco più di una famiglia su due dispone infatti di un piano di successione patrimoniale.
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Uno studio capillare
L’indagine ha coinvolto 317 singoli family office in oltre trenta mercati nel periodo dal 22 gennaio al 4 aprile 2025, mostrando come si punti innanzitutto su un approccio lungo termine e ci si concentri sulla conservazione del patrimonio per le generazioni future. Sebbene la survey sia stata condotta principalmente nel primo trimestre, Benjamin Cavalli, head of strategic clients di UBS GWM, fa notare come gli intervistati fossero già pienamente consapevoli delle sfide poste dalla guerra commerciale mondiale. Tuttavia, precisa l’esperto, “nelle interviste condotte a seguito delle turbolenze di mercato che hanno caratterizzato l’inizio di aprile, i family office hanno ribadito la loro strategia, incentrata su un’asset allocation diversificata e capace di navigare tutte le condizioni di mercato”.
Prima preoccupazione: la guerra commerciale
Tra le principali minacce al raggiungimento degli obiettivi finanziari nei prossimi dodici mesi, oltre due terzi (70%) dei family office vede appunto la guerra commerciale. Il secondo motivo di preoccupazione, per oltre la metà degli intervistati (52%), è rappresentato da un grave conflitto geopolitico, seguito da un’inflazione più alta. Guardando ai prossimi cinque anni, la percentuale di chi teme un grande conflitto sale al 61%, mentre il 53% è preoccupato per una possibile recessione globale provocata da gravi dispute commerciali. Non solo: la metà indica tra i rischi maggiori anche una crisi del debito.
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Non cambia il livello di rischio, aumenta la diversificazione
Nonostante i timori, il 59% prevede comunque di mantenere quest’anno lo stesso livello di rischio del 2024, rimanendo fedele ai propri obiettivi d’investimento. Tuttavia, il 38% ha evidenziato la difficoltà nell’identificare una strategia efficace nella gestione dei rischi di portafoglio, mentre il 29% ha sottolineato l’imprevedibilità degli asset di sicurezza a causa di fattori quali l’instabilità delle correlazioni di mercato. Di conseguenza, il 40% ritiene che il modo più efficace per incrementare la diversificazione sia fare affidamento sulla selezione dei gestori e sulla gestione attiva. Seguono gli hedge fund (31%). Quasi la stessa percentuale sta inoltre aumentando l’esposizione agli asset illiquidi (27%) e oltre un quarto (26%) sta utilizzando gli investimenti nel reddito fisso di alta qualità e a breve durata. I metalli preziosi, utilizzati da quasi un quinto degli intervistati a livello globale (19%), hanno registrato l’incremento maggiore rispetto all’anno precedente, con il 21% che anticipa un aumento significativo o moderato della propria allocation nei prossimi cinque anni.
Spostamento dell’asset allocation verso i mercati liquidi
Tanta incertezza economica e geopolitica ha portato comunque a un cambiamento nell’allocazione strategica. Alcuni family office stanno infatti incrementando le loro esposizioni ad azioni e bond dei mercati sviluppati, alla ricerca di opportunità liquide che consentano di ottenere una crescita del capitale e un rendimento in un contesto volatile. Le allocazioni azionarie in questi mercati sono salite in media al 26% nel 2024 e chi prevede modifiche nel 2025 intende incrementarle ulteriormente fino al 29%. Guardando ai prossimi cinque anni, quasi la metà (46%) stima un aumento significativo o moderato della propria esposizione azionaria nei mercati sviluppati. Al contrario, meno di un quarto degli intervistati (23%) intende fare lo stesso sul fronte del reddito fisso.
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Asset tradizionali e mercati sviluppati anche per gli italiani
I family office italiani non fanno eccezione e seguono il trend globale. Continuano infatti a guardare al futuro con una strategia volta alla stabilità, concentrandosi su asset class tradizionali e mercati sviluppati. “Anche nel nostro Paese, l’obiettivo principale resta preservare e accrescere il patrimonio familiare, attraverso una solida diversificazione e un’attenzione crescente alle opportunità che potrebbero influire positivamente sul patrimonio”, sottolinea Giovanni Ronca, head of UBS GWM in Italia.
Cautela sugli Emergenti
Quanto agli Emergenti, dopo un lungo periodo di rendimenti deludenti, i family office di Stati Uniti ed Europa sono diventati più cauti rispetto ai colleghi dell’Asia-Pacifico, dell’America Latina e del Medio Oriente. A livello globale, nel 2024 gli intervistati hanno allocato solo il 4% in azioni e il 3% in obbligazioni dei mercati in via di sviluppo, ma è molto probabile che aumentino la loro esposizione a India e Cina nei prossimi dodici mesi. Per quanto riguarda le barriere agli investimenti in queste regioni, le preoccupazioni geopolitiche sono state citate con maggiore frequenza (56%), insieme all’incertezza politica e al rischio di default sovrano (55%). Anche la svalutazione della moneta e l’inflazione (48%) e l’incertezza giuridica o la mancanza di regolamentazione (51%) si sono rivelate deterrenti molto importanti.
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Il private equity perde appeal
Mentre i family office stanno riducendo leggermente l’esposizione al private equity, nel 2024 gli investimenti sui mercati privati sono rimasti relativamente elevati, attestandosi al 21%. Tuttavia, chi intende apportare modifiche nel 2025 prevede di ridurre tale quota in media al 18% (con le riduzioni principalmente guidate da investimenti diretti) poiché la debolezza dei mercati dei capitali e il rallentamento dell’attività di acquisizione frenano le exit in portafoglio, mentre l’aumento dei tassi rende il finanziamento più costoso. Proseguendo il trend degli ultimi anni, Nord America (53%) ed Europa occidentale (26%) restano le destinazioni preferite per gli investimenti, con circa quattro quinti del patrimonio totale. Le allocation nell’Asia-Pacifico (esclusa la Cina) e in Cina sono invece scese leggermente al 7% ciascuna.
Solo il 53% dispone di piani di successione patrimoniale
Infine, il tasto dolente della successione patrimoniale, con appena il 53% dei family office a livello globale che ha piani per i membri della famiglia. Chi non ne dispone spiega di non aver ancora agito principalmente perché i beneficiari effettivi ritengono di avere tutto il tempo necessario per farlo (29%). Oltre un quinto (21%) ha invece dichiarato che i beneficiari effettivi non hanno ancora deciso come suddividere le ricchezze, mentre quasi la stessa percentuale (18%) indica che i proprietari effettivi non hanno avuto il tempo di discuterne. Nei casi in cui le famiglie dispongono di piani di successione, per quasi due terzi (64%) degli intervistati la sfida principale rimane quella di garantire il trasferimento nel modo fiscalmente più efficiente. Più di quattro su dieci (43%) ritengono che preparare la generazione successiva a gestire responsabilmente il patrimonio in linea con gli obiettivi della famiglia rappresenti un altro grande compito, mentre solo il 26% coinvolge la generazione successiva nella pianificazione successoria sin dall’inizio.
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