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In nove mesi le 132 Ipo sul Nyse hanno raccolto più di tutto il 2019. E c’è chi paventa il rischio bolla. A Milano piace solo l’Aim e i debutti sull’Mta latitano. Cresce intanto l’attesa per Ant
Wall Street sogna il 1999, l’anno d’oro delle dotcom prima del brusco risveglio alla realtà. Le quotazioni, soprattutto quelle di società hi-tech, stanno raggiungendo livelli record sui listini americani dove si torna a parlare di febbre da Ipo. D’altro canto, Snowflake, società di software per cloud, approdata una settimana fa sul Nyse, è riuscita a mettere a segno un +112% nel primo giorno di quotazione, raggiungendo una capitalizzazione di oltre 70 miliardi di dollari, nonostante il prezzo di collocamento fosse stato alzato ben due volte prima del debutto.
Secondo quanto attestato da Matthew Kennedy, strategist di Renaissance Capital, non accadeva dal 2000 che una società raddoppiasse la sua capitalizzazione nel primo giorno di collocamento, almeno per quanto riguarda quei gruppi che hanno raccolto sul mercato più di un miliardo di dollari (e SnowFlake ne ha raccolti più di quattro). Gli investitori intanto attendono lo sbarco sui listini (Shanghai e Hong Kong) di Ant, la fintech di Jack Ma (fondatore di Alibaba) che punta a raccogliere 35 miliardi di dollari per una valorizzazione complessiva della società di 250 miliardi.
Il Renaissance Us Ipo Index (indice composto dalle quotazioni degli ultimi due anni sul mercato a stelle e strisce) è in rialzo del 60% circa da inizio anno e gli esperti calcolano che il 70% delle società quotate in tempi recenti sia sopra i prezzi di collocamento. Da inizio anno, e solo tenendo conto delle società con una capitalizzazione superiore ai 50 milioni di dollari, le Ipo a Wall Street sono state 132 (+12,8% rispetto allo stesso periodo del 2019) con una raccolta di 48,6 miliardi di dollari (+23,7% rispetto allo stesso arco temporale di un anno fa. Si consideri poi che nel 2018 e 2019 la raccolta si è attestata a 46 miliardi, meno ancora negli anni successivi al 2014). E il trend potrebbe continuare: sono 181 le società che quest’anno si sono messe in fila per debuttare a Wall Street (+14,6% rispetto al 2019 compresa l’attesa Airbnb) e 110 le spac (veicoli che possono essere utilizzati per traghettare più facilmente le società sui listini).
Tanto per dire: a Piazza Affari il solo debutto sull’MTA da inizio anno è stato quello di Gvs approdata sul listino milanese il 19 giugno a 8,15 euro con una raccolta pari a 570 milioni di euro (ora il titolo quota a 11,4 euro). Diverso il caso dell’Aim, il mercato delle micro realtà che, anche grazie ai Pir, prosegue a raccogliere interesse e, nel corso del 2020, ha finora totalizzato sette ammissioni.
Nonostante siano in molti a interrogarsi sul possibile scoppio di una bolla (come accaduto nella primavera del 2000), c’è da dire che, a differenza del boom delle dotcom di inizio Millennio, questa volta le debuttanti hi-tech hanno storia, clienti, finanziatori (per SnowFlake addirittura la Berkshire Hathaway di Warren Buffet) e fatturato. Talvolta sono già persino in utile. “Ci sono ragioni per ritenere che le società hi-tech abbiano modelli aziendali più sostenibili e profittevoli”, sostiene René Kerkhoff, analista e gestore del fondo DJE – Mittelstand & Innovation di DJE Kapital AG che poi evidenzia come, al picco della bolla dot-com, i titoli hi tech sull’S&P500 trattassero a 62 volte gli utili ma solo il 2,7% della capitalizzazione fosse legata alla liquidità. “Oggi il rapporto tra prezzo e utile del settore è di 32, mentre la liquidità conta quasi il 7% della loro capitalizzazione”, ribadisce l’esperto che parla di “modelli di business a prova di crisi”: In particolare, a giudizio di Kerkhoff, il segmento software è caratterizzato da una grossa quota di ricavi ricorrenti. Senza considerare che i due terzi delle società intendono aumentare la spesa in information technology e che la digitalizzazione è ormai una necessità impellente.
Nel frattempo, nuove quotazioni potrebbero arrivare dalle novità in ambito regolatorio decise a Wall Steet. Il Nyse ha dato il via libera alle società alla possibilità di raccogliere capitali attraverso la messa in vendita diretta sul mercato di nuove azioni (in precedenza era consentita la sola messa in vendita di azioni esistenti), un’alternativa più economica rispetto a quella delle Ipo e anche meno criticabile come possibile strumento di speculazione ai danni dei piccoli investitori. Ad oggi il direct listing è stato scelto tra gli altri da Spotify, Sumo e Slack, sarà seguito a breve da Asana e Palantir.
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