Fed, i gestori: “È probabile che lo scenario finanziario diventi significativamente più difficile da qui in avanti”
3 maggio 2018
di Eugenio Montesano
4,30 min
Come da previsioni il presidente della Fed Jerome Powell – alla seconda riunione del 2018 – lascia i tassi all’1,5-1,75%. Occhi puntati sulla riunione del 13 giugno, ma secondo i fund manager i primi effetti dell’inversione di tendenza fanno già capolino. Borse europee negative in avvio di seduta.
Il Federal Open Market Committee – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve – ha lasciato i tassi di interesse all’1,5-1,75%, il livello a cui furono portati il 21 marzo scorso con una stretta di 25 punti base, la sesta dall’inizio del ciclo di rialzi nel dicembre 2015.
Pur avendo lasciato i tassi invariati, la Fed continua ad aspettarsi “ulteriori rialzi graduali” del costo del denaro. È quanto si legge nel comunicato diffuso dalla banca centrale al termine della riunione. Diversamente dalla riunione del 21 marzo non c’è stata una conferenza stampa, attesa invece per il 13 giugno, quando i tassi dovrebbero essere ritoccati al rialzo. In quell’occasione verranno diffuse le nuove stime economiche e la mediana del numero di strette previste nel 2018. Fino a ora la Fed ne ha calcolate tre.
L’istituto centrale guidato da Jerome Powell ha detto che la rotta dei tassi dipenderà dal quadro macroeconomico e che i tassi “probabilmente resteranno per un po’ al di sotto dei livelli che ci si aspetta prevalgano nel lungo termine”. Nel comunicato, la Fed ha spiegato che il mercato del lavoro “ha continuato a rafforzarsi” e che l’attivita’ economica “è cresciuta a passo moderato”, esattamente come scritto nel documento diffuso alla fine della riunione di marzo. È scomparsa la frase secondo cui “l’outlook economico si è rafforzato nei mesi recenti”, mentre è restata quella secondo cui “l’attività economica continuerà a espandersi a un passo moderato nel medio termine e le condizioni del mercato del lavoro resteranno forti”.
La banca centrale Usa resta convinta che la sua politica monetaria sia ancora accomodante in virtù del fatto che i prezzi sono aumentati senza però essere fuori controllo. Gli investitori americani, tuttavia, non sono apparsi altrettanto rassicurati e tra gli operatori è tornato il timore che nel 2018 le strette possano essere effettivamente quattro. Gli investitori hanno dunque interpretato come «dovish» le parole usate dalla Fed nel suo comunicato per parlare di economia mentre sono sembrate «hawkish» quelle relative all’inflazione. Risultato: gli indici di Wall Street ieri hanno chiuso in netto calo.
L’effetto negativo sulle Borse Usa ed europee
Gli indici erano rimasti poco mossi dopo la decisione della Federal Reserve di lasciare invariati i tassi all’1,5-1,75%. Nell’ultima ora di scambi hanno poi accelerato repentinamente al ribasso portandosi intorno ai minimi intraday. Il Dow Jones Industrial Average è così tornato in correzione – status definito da un calo di almeno il 10% dal record più recente – portandosi sui minimi di un mese fa. Arrivato a guadagnare 86 punti, il DJIA ne ha lasciati sul terreno 174,07, per una flessione dello 0,72%. Per l’indice delle 30 blue chip è stata la quarta seduta in ribasso. L’S&P 500 ha ceduto 19,13 punti, lo 0,72%, mentre il Nasdaq Composite ha registrato un calo di 29,81 punti, lo 0,42%.
Questi i movimenti di brevissimo termine in America, mentre anche in Europa la reazione degli operatori è all’insegna del sell. Stamane prevalgono le vendite sui listini del vecchio continente, con Piazza Affari che scivola in lieve calo nelle prime fasi di contrattazione a -0,14%. Londra cede lo 0,13%, Francoforte lo 0,18% e Parigi lo 0,24%. Di converso, in un’ottica di lungo termine sono soprattutto i gestori di fondi a essere strategicamente posizionati per prendere il polso ai mercati. Ecco la loro lettura.
Attenzione alla strategia del “pilota automatico”
Secondo Nick Peters, gestore multi asset di Fidelity International, ha senso che la Fed continui ad alzare i tassi “mentre il sole della crescita continua a splendere”, ma gli investitori devono entrare nell’ordine delle idee che da qui in avanti le condizioni finanziarie diventeranno “significativamente più ingarbugliate”.
Nick Peters, gestore multi asset di Fidelity International
Le parole del comunicato sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto a quello di marzo, dando sostegno al consenso che ritiene che la Fed aumenterà i tassi di un altro 0,25% a giugno, raggiungendo la forchetta 1,75-2,0%.
La Fed sta dunque mantenendo costante la traiettoria graduale dei rialzi, giustificata dall’aumento dell’inflazione core che ha quasi raggiunto l’obiettivo del 2% della Fed (finalmente!), Con l’indice del costo dell’occupazione negli Stati Uniti in costante accelerazione. Ciò implica che li aumenteranno all’incirca una volta al trimestre, fino a quando non raggiungeranno un tasso leggermente “restrittivo” di circa il 3% – questo al netto di eventi che possano far deragliare la crescita negli USA deteriorandone le condizioni finanziarie.
Ciò detto, questa strategia da “pilota automatico” potrebbe non essere così benigna come sembra. Con la combinazione della riduzione quantitativa del bilancio Fed e dell’aumento dell’emissione dei treasury necessaria a bilanciare gli stimoli fiscali, le condizioni monetarie sono destinate a restringersi più rapidamente di quanto implicherebbero i graduali rialzi annunciati dalla Fed.
Per ragioni correlate, i mercati valutari sembrano prestare rinnovata attenzione alla crescente divergenza tra i rendimenti dei titoli statunitensi e quelli di altri mercati. Altre banche centrali cominciano a nutrire dubbi sull’opportunità di seguire la strada della Fed, scegliendo di agire molto più lentamente e con cautela. Dinamica, questa, che sta dando slancio al dollaro rendendo potenzialmente più difficili le condizioni per alcune economie vulnerabili, in particolare nei mercati emergenti.
Un non evento – per ora
Dopo anni di duration ai minimi Antoine Lesné, responsabile della strategia e della ricerca per l’area EMEA di SPDR Etf, scruta all’orizzonte il ribaltamento della curva dei rendimenti come risultato dell’aumento dell’inflazione e dei conseguenti rialzi dei tassi da parte della Fed.
Antoine Lesné, responsabile della strategia e della ricerca per l’area EMEA di SPDR Etf
Come previsto, il FOMC ha lasciato invariati i tassi, aumentando fortemente le possibilità di un rialzo alla riunione di giugno. Mentre l’indice sull’inflazione Pce (Personal consumption expenditures, indicatore inflattivo di tipo core, relativo alle spese personali, che esclude il prezzo di cibo ed energia. È la misura più osservata dalla Fed, ndr) ha raggiunto il 2,5%, l’indebolimento dei dati economici nei mercati sviluppati e l’impatto dei crescenti timori geopolitici gettano indubbiamente alcune ombre.
Tuttavia, i potenziali effetti inflattivi dell’aumento della retribuzione oraria per i lavoratori dipendenti in America continueranno a condurre il mercato verso la soglia del 3% di rendimento sui bond governativi decennali, aumentando le probabilità di quattro rialzi dei tassi nel 2018.
Seppur questo incontro non abbia dato occasione di commentare questa possibilità, il rischio di un’inversione nell’inclinazione della curva dei rendimenti (la differenza tra il rendimento di un titolo a lunga scadenza e uno a breve scadenza, ndr) potrebbe aumentare. In definitiva, la parte lunga della curva sta cominciando ad assumere sempre maggiore interesse per gli investitori.
Comincia l’era di Jerome Powell, che alza i tassi dei fondi interbancari portandoli tra l'1,50% e l'1,75%. Per ora l’agenda del 2018 non cambia, ma si prevedono strette “graduali ma più ampie” fino al 2020. Le reazioni dei gestori.
I rendimenti del decennale USA sono saliti al di sopra della soglia simbolica del 3% per la prima volta dall’inizio del 2014. Eliezer Ben Zimra, bond manager del gruppo svizzero, spiega quali sono gli strumenti obbligazionari meglio equipaggiati per far fronte a un contesto di tassi d’interesse in aumento.
Cosa pensano i fund manager dell’avvicendamento al timone di una delle principali banche centrali a livello globale? Con un occhio all’asset allocation, Focus Risparmio passa in rassegna le previsioni di cinque case di investimento presenti in Italia.
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