I denti affilati della politica monetaria
Mentre si discute sui possibili scenari riguardo al conseguente rallentamento economico, se si tratterà cioè di soft o hard landing per questo 2023, l’asset class obbligazionaria sembra ancora vincente.
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Dopo aver alzato i tassi di 425 punti base nel corso del 2022, la Fed può scalare la marcia. Ne sono convinti i gestori che, a quasi un anno dal quel 16 marzo 2022 quando Jerome Powell ha iniziato la sua guerra senza quartiere all’inflazione, scommettono in un ritocco decisamente meno aggressivo per il primo meeting del 2023: un quarto di punto.
A rendere unanime la previsione ha contribuito anche una serie di dati macro nel complesso positivi che la scorsa settimana ha riportato il buonumore a Wall Street. Primo fra tutti il Pce (Personal consumption expenditures price index) di dicembre sorvegliato speciale della banca centrale, da cui è emerso un rallentamento dell’inflazione a livelli ma più visti da ottobre 2021, seguito dall’aumento oltre le attese del Pil del quarto trimestre e dal calo delle richieste dei sussidi di disoccupazione. Inevitabile, insomma, che mercoledì 1° febbraio gli investitori si aspettino un aumento meno aggressivo del costo del denaro e che si concentrino piuttosto su come il Fomc deciderà di procedere nei prossimi mesi e, soprattutto, su quando si fermerà.
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Per il team strategie di credito globale di Algebris, il messaggio generale della banca Usa sarà quello di riconoscere l’indebolimento dell’economia, impegnandosi contemporaneamente a ‘mantenere la rotta’ e a tenere una politica restrittiva fino a quando l’inflazione non sarà tornata in modo consistente verso l’obiettivo, orientandosi verso un tasso terminale del 5,25%. Solo che la politica hawkish non potrà essere mantenuta ancora a lungo. “I recenti dati macroeconomici, in particolare il raffreddamento dell’inflazione, suggeriscono che il ciclo di rialzo dei tassi si sta concludendo. A conferma di ciò, la scorsa settimana la Bank of Canada è stata la prima banca centrale del mondo a segnalare una pausa nel suo ciclo di rialzo dei tassi”, precisano gli esperti Algebris, che si aspettano un tasso terminale più vicino al 5%. Attualmente il mercato lo vede al 4,9% entro giugno.
Di diverso parere Jeffrey Cleveland, chief economist di Payden & Rygel, per il quale a causa di un’inflazione ‘appiccicosa’, Powell continuerà ad aumentare il tasso sui Fed Funds fino al secondo trimestre 2023, portandolo al 5,5%. “A ragione di ciò, il picco dei tassi potrebbe verificarsi verso il secondo trimestre. Tuttavia, se ci saranno indizi da parte dei policymakers della Fed che una pausa del ciclo di rialzo sia più imminente di quanto anticipato, allora potremmo cambiare il nostro scenario di base”, afferma l’economista, che guardando ancora più avanti esprime anche qualche perplessità su un eventuale taglio ‘veloce’ come il mercato spera. “Nei cicli passati, la Fed poteva tagliare rapidamente perché il Pce core si aggirava intorno al 2%. Con l’inflazione core Pce ben tre volte superiore al target, il rischio è che i tagli dei tassi siano più lenti anche in una recessione, semmai si verificheranno”, avverte.
A questo proposito, James McCann, deputy chief economist di abrdn, sottolinea che tra le maggiori preoccupazioni di Powell mercoledì ci sarà quella che i mercati interpretino il ritmo più moderato di inasprimento come un segnale di una svolta politica in arrivo. Per questo sottolineerà che occorre lavorare molto per riportare l’inflazione verso l’obiettivo e che, per farlo, la politica dovrà rimanere restrittiva a lungo. “Potrebbe trovarsi di fronte a una battaglia in salita per convincere i mercati, che già prezzano tagli dei tassi nel corso dell’anno sulla base di un atterraggio morbido relativamente indolore della crescita e dell’inflazione. Riteniamo che l’aggiustamento sarà più difficile e che, in assenza di una flessione della crescita, la Fed dovrà procedere a un inasprimento maggiore di quello previsto dal mercato per affrontare pienamente il problema dell’inflazione”, mette quindi in guardia McCann.
Secondo David Norris, partner e head of Us credit di TwentyFour Asset Management, si stanno sviluppando timori e dibattiti sulla possibilità che la Fed commetta un errore politico aumentando troppo i tassi e mantenendoli troppo a lungo. “Le aspettative del mercato – fa notare – prevedono attualmente il raggiungimento del tasso terminale entro la metà dell’anno e successivamente un cambio di rotta della Fed che prevede tagli dei tassi entro la seconda metà del 2023. Ciò è in contrasto con il percorso disegnato dalla banca centrale, che stima di raggiungere il 5-5,25% e di rimanere in attesa”.
Per Norris si ripropone quindi la dinamica mercato vs Fed. “Sebbene non ci aspettiamo che l’inflazione si riduca in linea retta e persistano molti venti contrari, il rallentamento dell’economia, unito al deterioramento del mercato del lavoro e alla diminuzione delle pressioni salariali, potrebbe indurre la politica dell’istituto a fare almeno una pausa prima di raggiungere la fascia mirata del 5%-5,25%”, conclude l’esperto di TwentyFour Am.
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