Per i gestori Powell ridurrà i tassi di 25 pb e potrebbe replicare a dicembre. Ma nel 2025 le politiche inflazionistiche annunciate dal neo presidente USA potrebbero fermare l’allentamento
Mentre si attende l’esito del penultimo meeting dell’anno della Federal Reserve, gli investitori guardano alla Casa Bianca. Se infatti i mercati scontano senza riserve un nuovo taglio dei tassi da 25 punti base, e ne prevedono un altro della stessa entità a dicembre, l’incognita principale riguarda le politiche inflazionistiche annunciate in campagna elettorale del neo presidente americano Donald Trump. E soprattutto i loro conseguenti effetti sulla politica monetaria. A luglio Jan Hatzius, capo economista di Goldman Sachs, ha stimato che il carovita a stelle e strisce potrebbe aumentare di 1,1 punti percentuali con i dazi promessi dal tycoon, fermando inevitabilmente il ciclo di allentamento.
Non solo. Un altro timore riguarda anche l’autonomia della stessa banca centrale. Nel suo precedente mandato, Trump ha più volte esercitato pressioni sul capo della banca centrale Jerome Powell perché riducesse il costo del denaro, e ora la conquista repubblicana del Senato (che ratifica le nomine dell’istituto) potrebbe dargli un ulteriore margine di influenza.
Scontato un taglio di 25 pb. Più incerta la mossa di dicembre
Le preoccupazioni quindi aumentano, ma non riguardano l’immediato. “Un taglio dei tassi di 25 punti base da 4,75-5% a 5,25-4,75% ci sembra quasi certo e i mercati l’hanno già incorporato”, afferma FrançoisRimeu, senior strategist di Crédit Mutuel Asset Management, secondo cui probabilmente la Fed rimarrà cauta sul ritmo dei futuri interventi. “I dati riflettono un’economia resiliente. La banca centrale americana dovrebbe anche sottolineare le conseguenze dei recenti uragani e il loro impatto sugli ultimi dati occupazionali. Ad eccezione di questo, non ci aspettiamo che il messaggio sia molto diverso da quello di settembre”, aggiunge.
Dello stesso parere Erik Weisman, chief economist di MFS Investment Management, per il quale la domanda più importante riguarda cosa deciderà di fare Powell a dicembre. “Dato che la Fed ha dichiarato molto chiaramente di essere fortemente dipendente dai dati, è troppo presto per avere un parere definitivo su questa questione”, osserva. L’esperto ricorda però che i dati più recenti mostrano un’economia più resiliente del previsto, con un tasso di inflazione leggermente più alto di quanto atteso. “In base a questi sviluppi, il mercato sta gradualmente prezzando una Fed meno aggressiva, con un tasso di policy finale che dovrebbe essere leggermente più alto”, fa notare.
Anche per Michael Krautzberger, global cio fixed income di AllianzGlobal Investors, la Fed ha intenzione di orientarsi verso una posizione di politica monetaria più neutrale, via via che cresce la fiducia nelle prospettive di inflazione. “I mercati dei tassi di interesse stanno quasi completamente scontando un taglio di 25 punti base nella riunione di novembre e una probabilità di circa il 60% di un’ulteriore riduzione di 25 punti base a dicembre. Nel complesso, concordiamo con questa valutazione”, sostiene. Precisando però che l’esito elettorale potrebbe essere “il più grande fattore di disturbo nel pricing del ciclo di allentamento nel 2025 da parte del mercato”.
Ad attirare le maggiori preoccupazioni degli investitori è appunto il risultato delle urne presidenziali, che getta maggiore incertezza su un percorso di politica monetaria già poco prevedibile. “Le politiche annunciate dal tycoon in campagna elettorale (tariffe all’import su molti beni, riduzione delle tasse, nuovo giro di vite sull’immigrazione e deregulation su oil&gas) dovrebbero spingere l’inflazione e la crescita economica degli USA nei prossimi due anni”, scrivono gli analisti di Unicredit. Avvertendo che la Federal Reserve potrebbe quindi mettere in stand by il taglio dei tassi, dopo gli ultimi due del 2024.
“Trump vuole imporre dazi del 10% a tutti e del 60% alla Cina, e non è facile capire se si tratti di una millanteria o di una vera strategia”, evidenziano Graham Stock e Charlie Whinery, rispettivamente senior sovereign strategist e portfolio manager di RBC BlueBay. Se ciò dovesse accadere, per i due esperti si tratterà di un fattore inflazionistico che potrebbe riportare la Fed in una posizione di attesa, creando un assetto debole per il reddito fisso, anche se i mercati azionari potrebbero reagire positivamente nel breve termine alla sua elezione. “Nel frattempo, l’aumento della spesa pubblica è quasi garantito indipendentemente da chi vincerà le elezioni e, quindi, non si può considerare come un jolly in termini di potenziale impatto sui prezzi”, avvertono.
Secondo Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia, fino a fine 2024 non ci dovrebbe essere alcun impatto ‘elettorale’ sulle decisioni di Powell e colleghi. Discorso bene diverso, invece, sul lungo termine. Soprattutto se Trump avrà anche il controllo della Camera. “Con uno sweep repubblicano, potrà mantenere le promesse fatte in campagna elettorale con una politica fiscale ultra-espansiva e una politica commerciale protezionistica: tali misure dovrebbero alimentare le pressioni inflazionistiche complicando il lavoro della Fed che potrebbe essere meno dovish rispetto a quanto previsto dal mercato”, sottolinea. Inoltre, lo strategist fa notare che la conquista del Senato spiana la strada verso una maggiore autonomia del tycoon anche nella nomina delle cariche all’interno dell’istituto centrale.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Christian Scherrmann, DWS chief U.S. economist, secondo cui stimolare la domanda mentre la Fed sta cercando di vincere la battaglia contro l’inflazione potrebbe risultare controproducente. “Con tutte queste incertezze, i banchieri centrali devono navigare a vista per far atterrare l’economia, e ci aspettiamo che la dipendenza dai dati sia ancora il messaggio centrale della conferenza stampa, probabilmente con un tono leggermente hawkish”, osserva. Tuttavia, l’esperto precisa che con i tassi ancora ben al di sopra di ciò che può essere considerato neutrale, Powell ha sicuramente un certo margine di manovra per le due ultime riunioni del 2024. “Per l’incontro di dicembre, pensiamo che la decisione sarà più incerta tra un ulteriore taglio e una pausa nella normalizzazione della politica monetaria. Entro allora, almeno, dovremmo avere un quadro più chiaro di cosa aspettarci dai legislatori”, conclude.
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