Private market, bond e gestione attiva: i family office rivoluzionano l’asset allocation
Per l’Ubs Global Family Office Report 2023, tensioni geopolitiche, tassi e inflazione stanno causando nei portafogli “il più grande cambiamento mai registrato”
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Una Fed dovish, ma non troppo. Pronta cioè a fermare la stretta monetaria, ma con un occhio sempre puntato sull’inflazione. All’indomani del meeting Fomc, gli investitori fanno il punto sulle conseguenze della possibile svolta della banca centrale americana e convergono sulla previsione di uno stop dei rialzi a giugno pur escludendo un taglio al costo del denaro da qui a fine anno. Intanto, il cambio di passo porta molti gestori a considerare attentamente le ripercussioni sugli investimenti e a rivedere l’asset allocation. Con la dovuta cautela, soprattutto per l’azionario.
“Il messaggio relativo alla pausa è stato un po’ più deciso di quanto ci si aspettasse. Sebbene la Fed abbia mantenuto aperta la possibilità di continuare ad aumentare i tassi se necessario, si è impegnata a tenere conto dell’inasprimento cumulativo avvenuto finora, dei ritardi della politica monetaria e degli sviluppi dei mercati finanziari, tutti fattori che suggeriscono la necessità di una pausa”, fa notare Tiffany Wilding, north american economist di Pimco. Per l’economista, infatti, la politica monetaria è rigida e i suoi effetti stanno diventando sempre più chiari. “L’inflazione è ancora elevata ma le prospettive si sono oscurate e la Fed, nel tentativo di gestire i rischi di ribasso, sta passando a un approccio di mantenimento”, chiarisce, sottolineando come quello di ieri sia quindi molto probabilmente l’ultimo rialzo di questo ciclo.
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Anche per Greg Wilensky, responsabile Us fixed income di Janus Henderson, Powell e colleghi sembrano aver concluso il loro lavoro, per ora. E ciò è ampiamente positivo per i tassi. “Con il tempo, ci aspettiamo che la curva dei rendimenti diventi più ripida rispetto ai livelli attuali. Detto questo, non pensiamo che sia ancora suonata la campana per essere oltremodo rialzisti sul rischio di tasso d’interesse: tendiamo a favorire una posizione di duration più neutrale”, afferma. Ciò è dovuto, in parte, alla disparità tra le aspettative della Fed e quelle del mercato sui futuri tagli: secondo Wilensky, infatti, sono necessari ancora molti progressi sul fronte inflazione e mercato del lavoro prima di poter essere più ottimisti sul rischio legato a esposizioni di lungo termine. “Per quanto riguarda gli spread creditizi, anche se non ci aspettiamo un risultato economico negativo, quelli degli asset cartolarizzati stanno lavorando meglio rispetto ai corrispettivi societari nel prezzare un contesto di crescita più difficile”, aggiunge.
Secondo Tony Rodriguez, head of fixed income strategy di Nuveen, è probabile che la volatilità resti alta a causa della stretta monetaria e dell’incertezza del contesto economico. “La buona notizia è che, storicamente, i rendimenti di mercato tendono a essere positivi dopo la fine dei rialzi dei tassi da parte della Fed. Il reddito fisso, la cui performance è stata trascinata al ribasso dall’aumento dei tassi, dovrebbe registrare un ampio rimbalzo nel resto dell’anno, quando i rendimenti inizieranno a diminuire in modo più significativo”, sottolinea. Ecco perchè l’esperto continua a privilegiare un orientamento verso i segmenti di qualità più elevata dell’asset class, dove il rapporto rischio-rendimento è più interessante. “Alcune aree dei mercati dei titoli preferred e Cmbs, che finora si sono indeboliti, stanno diventando interessanti”, osserva.
Per quanto riguarda le azioni, Rodriguez invita gli investitori a restare cauti. “Privilegiamo un posizionamento difensivo, con un’enfasi sulle infrastrutture e sui titoli dividend growth. Entrambi i settori tendono a registrare buone performance durante i rallentamenti economici e dovrebbero essere ben isolati dall’inflazione persistente. Nei mercati privati, preferiamo allocare i nostri investimenti in asset class che producano reddito e che siano potenzialmente in grado di proteggere dai ribassi. In particolare, vediamo opportunità interessanti in aree selezionate del credito privato e del real estate”, conclude.
Quanto alle turbolenze bancarie, altra spina nel fianco della Fed, secondo Jérémie Boudinet e Mélanie Hoffbeck, rispettivamente head of investment grade credit e credit fund manager & analyst di La Française Am, la questione e tutt’altro che chiusa. E altri istituti, anche quelli più piccoli che non rivestono un’importanza sistemica, avranno bisogno di ulteriore aiuto nei prossimi mesi. “La mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni fragili non si fermerà di certo. Il nocciolo della questione è rappresentato da tutte le banche che non possono essere tenute sotto controllo. Si tratta di circa 4.200 società il cui patrimonio è inferiore a 100 milioni di dollari”, avvertono.
Discorso diverso per l’Europa. Qui, a detta dei due esperti, non c’è infatti una situazione tragica. “Restiamo comunque cauti sulle obbligazioni bancarie, perché riteniamo che gli spread degli istituti europei potrebbero non essere risparmiati dal destino di quelle statunitensi, anche se gli standard normativi e le tendenze fondamentali variano notevolmente da una sponda all’altra dell’Atlantico”, afferma i due. Per poi aggiungere: “Gli obbligazionisti, quindi, non potranno non tener conto della possibilità che una teorica contrazione del credito negli Usa raggiunga anche le coste europee”
Non solo. Per Boudinet e Hoffbeck, un’altra ragione è che i mercati del credito continuano a operare con lo stesso livello di liquidità sperimentato dal 2022. “I flussi scarsi e l’elevata volatilità dei tassi non si combinano bene. Le obbligazioni bancarie continueranno a essere scambiate con forti sconti rispetto alle loro controparti non finanziarie e a fluttuare in questo modo nel prossimo futuro”, concludono.
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