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Gli operatori sono alla ricerca del meccanismo più congruo per mettere in moto il risparmio improduttivo e portarlo verso l’economia reale
Il rapporto fra risparmio degli italiani e economia reale è oggi un tema di primo piano nel dibattito politico e tecnico del paese e coinvolge anche i maggiori operatori del mondo bancario.
La prima banca italiana per capitalizzazione, Intesa Sanpaolo, è già all’opera per studiare il modo più efficiente per indirizzare i 240 miliardi di euro di risparmi dei suoi clienti, oggi detenuti sotto forma di conti correnti, verso forme d’investimento più produttive.
Ma la funzione del risparmio privato dei cittadini è anche di natura strategica per il tessuto imprenditoriale italiano, costellato di micro e piccole imprese che devono ogni giorno competere in uno scenario sempre più sfidante.
“Il ruolo del risparmio privato ha certamente a che fare con il supporto all’economia reale”, spiega Fabrizio Pagani, global head of economics and capital market strategy per il fondo statunitense Muzinich&Co. Nel corso della Morningstar Investment Conference 2019. “Vedo tanti vantaggi sia dal lato del risparmiatore/investitore che dell’impresa”, aggiunge l’esperto.
Pregi e difetti delle Pmi italiane
Le piccole e medie imprese (pmi) europee, ma in particolare le italiane, hanno mercati di sbocco e prodotti apprezzati. Il punto di forza delle pmi tricolore sono i mercati esteri, come conferma Pagani: “Noi italiani siamo particolarmente bravi in questo. L’export delle piccole imprese italiane ammonta a 60 miliardi all’anno, mentre quello delle medie 114 miliardi per un totale di oltre 170 miliardi di export ogni anno”.
Fra i settori più apprezzati all’estero ci sono meccanica, farmaceutica, moda, alimentare, ma Pagani sottolinea che non è solo una questione di prodotto. “A fare la differenza sono la capacità di tailoring degli italiani e le innovazioni di processo”, spiega l’asset manager. Ma ci sono alcuni punti deboli. In primo luogo, le strutture di governance, troppo legate alla figura dell’imprenditore e della sua famiglia, e poi la dipendenza strutturale dal credito bancario.
“Oggi occorrono modelli di finanziamento più leggeri e flessibili rispetto al passato per le pmi”, auspica Pagani. Chi può andare incontro a queste esigenze?
Come supportare l’economia reale, il ruolo del risparmio
Alternative al canale bancario ce ne sono: il mercato è una di queste, ma anche capitali privati, operatori specializzati e asset manager in primis.
Per Pagani “il mercato in maniera diversa dal bancario fornisce all’imprenditore ulteriori risorse per la crescita e può imporre uno scrutinio sull’impresa diverso rispetto a quello bancario, direi più penetrante e più proattivo verso il business”.
Questo è uno dei motivi per cui le autorità comunitaria stanno orientando gli sforzi per il complemento parallelo dell’unione bancaria da un lato e del mercato unico dei capitali dall’altro, prevedendo strumenti finanziari innovativi che vadano ad ampliare la platea di potenziali investitori.
Gli strumenti dell’economia reale per i risparmiatori
Gli operatori, l’esempio di Intesa Sanpaolo è solo il più recente, sono alla ricerca del meccanismo più congruo per mettere in moto il risparmio improduttivo fermo sui conti correnti e portarlo verso l’economia reale.
Il primo tentativo in tal senso è stato quello dei Pir, “meccanismo funzionato molto bene in termini di raccolta il primo anno e mezzo dopo il lancio nel 2017. Poi la normativa è stata ingessata dalla finanziaria dello scorso anno e gli asset manager hanno sospeso la raccolta visto che le novità normative prevedono ora vincoli di investimento più stringenti”, ha spiegato Pagani.
A ciò si aggiunge il tema dei tassi d’interesse negativi, per Pagani “una manna dal cielo per gli Stati indebitati e le società che vogliono finanziari a costi irrisori, ma un grande problema per gli investitori (istituzionali e non) che per trovare rendimento devono alzare sensibilmente l’asticella del rischio”.
Basti pensare che ci sono delle società che vengono pagate per prendere soldi a prestito: a fine agosto il caso limite di Siemens che per un’emissione obbligazionaria da 3,5 miliardi di euro con scadenza biennale ha dovuto ‘corrispondere’ un tasso del -0,315%, il tasso negativo più alto di sempre per un corporate bond.
Verso nuove frontiere
La prima risposta di Pagani è forse la più comune ma non per questo scontata: “diversificare”, e aggiunge che “si sta andando verso investimenti più rischiosi, però non si può prescindere dalle sane regole sul dove e quanto investire”.
Poi la nuova frontiera degli asset dell’economia reale, o illiquidi. Si sta sviluppando in maniera progressiva un mondo di strumenti alternativi che permettono anche al retail di investire in economia reale, società non quotate, attraverso diverse strutture, dal private equity al private debt arrivando anche a strutture miste dove l’unico limite è la fantasia degli asset manager.
Da questo punto di vista il regolatore sta cambiando approccio, sia in Europa che in Uk e negli Usa, prevedendo forme d’investimento che consentano anche al retail di investire in questi settori. In Europa, ad esempio, sono stati introdotti dalla normativa comunitaria gli Eltif, fondi chiusi alternativi di lunga durata che consentono alla clientela affluent o semi affluent l’accesso a questi mercati.
“Ci sono studi che dicono che investire in questi strumenti non è affatto più rischioso che farlo sugli strumenti più liquidi – chiosa Pagani –. È ovvio che questi strumenti normalmente dovrebbero generare rendimenti più importanti a fronte di un orizzonte temporale più esteso. Chiudo il cerchio dicendo che lo sviluppo di questo strumento potrebbe rispondere alle due esigenze di cui prima: da un lato servirebbe alle pmi per trovare quei canali alternativi di finanziamento necessari a dipendere meno dal credito bancario, dall’altro consentirebbe al risparmiatore di trovare un impiego del capitale in grado di restituire un rendimento maggiore”.