Secondo l’associazione degli asset manager europei, le linee guida dell’Authority creano incongruenze con altre normative e minacciano di ridurre il mercato dei green bond. Ecco tutti i punti critici
Efama lancia l’allarme sugli OrientamentiESMA riguardanti i nomi dei fondi ESG. In una nota diffusa nei giorni scorsi, l’associazione degli asset manager europei ha infatti sollevato alcuni dubbi in merito all’impatto che le linee guida dell’autorità rischiano di produrre sul settore dei corporate green bond. In particolare, viene segnalato nel comunicato, “le nuove indicazioni creano incongruenze con altre normative in materia”. Un problema che, per l’ente, si somma però altre due criticità: gli effetti sul mercato e sulla transizione energetica.
Come spiegato da Anyve Arakelijan, consulente per le politiche normative di Efama, il problema risiede nel fatto che l’interpretazione della regolamentazione sulla finanza sostenibile impone di considerare come fulcro il progetto finanziato e non anche le attività più ampie della società emittente. Un aspetto che diviene ancor più rilevante, puntualizza l’esperto, “quando si tratta di finanziare la transizione energetica”. Per garantire la coerenza tra le normative, questo principio dovrebbe dunque essere applicato anche alle linee guida sulla denominazione: si tratta di quanto fatto con il Green Bond Standard UE, che non limita l’ammissibilità degli emittenti né esclude le società basate sui criteri dei benchmark Paris (PAB). Tuttavia, le nuove regole fondi escludono le società su questa base. Ciò significa che un fondo obbligazionario con focus obbligazioni verdi potrebbe dover cambiare nome se non vuole limitare l’ammissibilità degli emittenti. L’alternativa è quella disinvestire da tutti i titoli di soggetti che generano parte dei loro ricavi da attività escluse dal PAB.
Restrizione del mercato il rischio più concreto
Un rischio più concreto individuato dall’associazione europea del risparmio gestito è che le restrizioni imposte dalle linee guida Esma limitino l’universo investibile dei fondi di green bond e in particolare quelli societari. Negli ultimi cinque anni, le aziende non finanziare hanno infatti rappresentato il 26%-34% delle emissioni annuali del mercato. A questo si sommerebbe un potenziale disincentivo nell’investimento in obbligazioni compliant all’UE GBS, con conseguente compromissione del futuro successo di quest’ultima iniziativa.
Il riferimento alla transizione energetica è invece una diretta conseguenza delle prime due criticità sollevate dagli orientamenti ESMA. Efama ricorda infatti come i maggiori emittenti societari siano le aziende di servizi, che svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle infrastrutture necessarie per un futuro verde. Ed escluderle dal portafoglio dei fondi che utilizzano termini sostenibili o ambientali nel loro nome potrebbe aumentarne il costo del capitale ma anche ostacolare progetti chiave e rallentare il processo di decarbonizzazione. Il tutto senza trascurare che il mercato globale dei green bond, di cui metà è rappresentata da titoli di realtà europee, è proprio uno di quelli su cui l’Unione ha puntato maggiormente negli ultimi anni. “Se l’UE vuole rimanere competitiva in questo settore e facilitare il finanziamento di progetti verdi”, precisa il direttore generale di Efama Tanguy van de Werve, “le autorità di regolamentazione e vigilanza devono garantire che le norme non ostacolino questo comparto o aumentino inutilmente la complessità normativa per gli investitori finali”.
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