Fondi pensione, adesioni e rendimenti su nonostante il Covid
Covip: 9,35 milioni di posizioni nel 2020, +2,6%. Risorse per 196 miliardi. Dopo il calo del secondo trimestre, i rendimenti recuperano e superano nettamente il Tfr
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Ben 38,6 miliardi di euro, il 23,8% del patrimonio. A tanto ammonta il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana a fine 2020. Il dato emerge dalla relazione annuale della Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, stando alla quale i titoli di Stato rappresentano la quota maggiore per 28,4 miliardi di euro.
In generale, l’allocazione dei fondi pensione registra ancora la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 56,1% del patrimonio, di cui il 17,5% in titoli di debito pubblico italiano. In aumento al 19,6% i titoli di capitale (rispetto il 18,9% del 2019) e anche le quote di Oicr, passate dal 14,8 al 15,5%. I depositi si attestano invece al 6,6%. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano circa il 2% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2019.
Crescono poi, anche se rimangono marginali, gli investimenti destinati direttamente all’economia reale, cioè al tessuto imprenditoriale italiano: 4,6 miliardi, meno del 3% del patrimonio complessivo, e ciò è dovuto alla “peculiare struttura del tessuto industriale italiano e il livello complessivamente limitato della capitalizzazione del mercato azionario nazionale”. In obbligazioni sono investiti 3,2 miliardi, in azioni 1,4 miliardi mentre gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di Oicvm si attestano a 2,1 miliardi. Gli investimenti immobiliari in Italia risultano infine pari a circa 3 miliardi.
La Covip certifica poi la vittoria sul Covid e sul Tfr. Nonostante l’emergenza sanitaria, anche nel 2020 il rendimento dei fondi pensione integrativi è cresciuto, superando quello del trattamento di fine rapporto. Dopo una prima parte dell’anno molto perturbata visto lo scoppio della pandemia, i mercati finanziari hanno fatto segnare un progressivo recupero supportato dalle iniziative di sostegno e di rilancio messe in atto da governi e banche centrali in tutto il mondo e di questo recupero hanno beneficiato anche i rendimenti dei fondi pensione.
Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, infatti, i fondi negoziali e i fondi aperti hanno guadagnato in media, rispettivamente, il 3,1 e il 2,9%. Per i PIP “nuovi” di ramo III, il risultato è stato invece lievemente negativo, pari a -0,2%, mentre per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,4%. Nello stesso periodo il Tfr si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,2%.
Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche i divari nei livelli di costo. I PIP restano i prodotti più onerosi: su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è in media del 2,18% (1,87% per le gestioni separate di ramo I e 2,35 per le gestioni di ramo III). La Consip sottolinea inoltre una accentuata dispersione dei costi dei PIP offerti sul mercato. Si conferma, invece, la minore onerosità dei fondi pensione negoziali: sul medesimo orizzonte temporale, l’indicatore è dello 0,43%. È infine dell’1,36% per i fondi pensione aperti.
Alla fine dello scorso anno, i fondi pensione in Italia erano 372 e il loro numero è in costante riduzione. Oltre venti anni fa, nel 1999, le forme erano 739, quasi il doppio. “La concentrazione del settore è da considerare con favore – ha sottolineato nella sua relazione il residente Covip, Mario Padula -. Le economie di scala generate si traducono in guadagni di efficienza a beneficio degli iscritti, innalzando la qualità della gestione e dei servizi offerti”.
Sempre a fine 2020, il totale degli iscritti alla previdenza complementare era di 8,4 milioni, il 2,2% in più rispetto all’anno precedente. In percentuale delle forze di lavoro, il tasso di copertura si attesta al 33%: ha aderito, insomma, più di un lavoratore su tre.
Le posizioni in essere sono 9,3 milioni (comprese le posizioni doppie o multiple, che fanno capo allo stesso iscritto). I fondi negoziali contano 3,2 milioni di iscritti, quasi 1,6 milioni hanno aderito ai fondi aperti e 3,3 milioni ai Pip ‘nuovi’, mentre poco più di 600mila sono gli iscritti ai fondi preesistenti. Gli uomini sono il 61,7% degli iscritti (il 73% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si era già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un divario generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 51,6% degli iscritti ha tra 35 e 54 anni.
Quanto alle risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari, queste si attestano a 198 miliardi di euro, in aumento del 6,7% rispetto all’anno precedente: un ammontare pari al 12% del Pil e al 4,1% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nell’anno, spiega la Covip, sono pari a circa 16,5 miliardi di euro. In tutte le forme pensionistiche complementari che raccolgono adesioni il flusso di contributi del 2020 è risultato maggiore, seppur di poco, rispetto al 2019: ne sono affluiti 5,5 miliardi ai fondi negoziali (+2,9%), 2,3 miliardi ai fondi aperti (+5,9%), 4,6 miliardi ai Pip (+1,6%) e 3,9 miliardi ai fondi preesistenti (+0,2%).
I contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.740 euro nell’arco dell’anno. Il 27,4% del totale degli iscritti alla previdenza complementare (circa 2,3 milioni) non ha però effettuato contribuzioni nel 2020.
Nel 2020 le iniziative di vigilanza sui diversi aspetti della gestione dei fondi pensione sono state oltre 1.000, cui hanno fatto seguito circa 300 interventi correttivi o autorizzativi. Nella complessiva azione di vigilanza, nell’anno trascorso l’Autorità ha prestato particolare attenzione alla verifica delle condizioni in cui le forme pensionistiche complementari sono state chiamate ad operare nella fase emergenziale dovuta alla pandemia. Ebbene, stando al rapporto, ne è “emerso un quadro rassicurante in ordine alla capacità di reazione dei fondi pensione a fronte dello scenario avverso”.
“Fondi e casse possono svolgere un ruolo importante a supporto dell’economia nell’emergenza pandemica, assumendo iniziative che si inquadrino in un progetto di ampio respiro che abbia il baricentro nella promozione della crescita, come il Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Lo ha ribadito Padula nella sua relazione annuale, aggiungendo che le eventuali iniziative devono ovviamente tenere conto “del loro compito di investitori di risparmio previdenziale”.
“Tali enti – ha avvertito – possono offrire un contributo a condizione che, in un’ottica di lungo periodo, le opzioni di investimento disponibili offrano un ritorno, aggiustato per il rischio, adeguato agli obiettivi previdenziali, rilevando anche da questo punto di vista la distinzione tra debito e capitale e tra orizzonti di breve e lungo periodo”.
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