Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Ott – Nov 2018 |
Permangono le debolezze dei Paesi dipendenti dal funding estero. Intanto Morgan Stanley modifica il “paniere”. Fuori Brasile e India, che conservano dei punti deboli, e dentro Messico e Colombia
A un certo punto, nell’ansia classificatoria delle case di investimento saltarono fuori i cosiddetti Fragile Five: cinque Paesi emergenti accomunati da una eccessiva e pericolosa dipendenza dall’estero per il finanziamento della propria crescita. La lista, stilata nel 2013 da Morgan Stanley nel bel mezzo di una crisi dei Paesi emergenti innescata dall’inaspettata stretta della Fed sugli stimoli monetari (il cosiddetto taper tantrum), includeva Brasile, India, Indonesia, Sudafrica e Turchia. Oggi che Ankara attraversa una crisi monetaria vale la pena di capire cosa è successo nel frattempo anche agli altri membri della lista. In effetti, guardando l’andamento del mercato valutario pare proprio che quelle fragilità non siano state del tutto superate. Le divise dei cinque hanno tutte sottoperformato: la rupia indonesiana è piombata ai minimi di 20 anni fa, ai tempi della crisi finanziaria asiatica e perfino la rupia indiana ha sofferto, a dispetto di un’economia nazionale in crescita. Colpa di un dollaro più forte, dell’intensificarsi delle dispute commerciali e del rialzo dei tassi Usa. Fattori che mettono in crisi quei Paesi con forte dipendenza dal funding estero.
“Anche se è la Turchia ad aver dominato i titoli dei giornali, i movimenti valutari registrati dal primo febbraio scorso (quando il dollaro ha raggiunto i suoi minimi, ndr) suggeriscono che molti dei Fragile Five sono sotto pressione – osserva Paul Jackson, head of research di Invesco – Se la lira turca ha perso il 40%, il real brasiliano è sceso del 24% e il rand sudafricano del 21 per cento. La nostra analisi dei costi di finanziamento esterno suggerisce che soprattutto Brasile, Turchia e Indonesia hanno dei problemi potenziali. Per questo, teniamo un occhio soprattutto sull’Indonesia”.
Sulla Turchia, Invesco si aspetta che la combinazione di rallentamento/recessione e inflazione elevata duri ancora a lungo. Jackson si aspetta che l’inflazione “salirà oltre il 20% nei prossimi mesi”, ma se si dovesse intervenire con successo su questo fronte, la lira potrebbe riprendersi, altrimenti si teme un ulteriore indebolimento. La Turchia ha recentemente innalzato i tassi dal 6,25% al 24%, e questo è un segnale incoraggiante secondo Jackson, “sempre che il governo consenta alla Banca centrale di fare il suo lavoro”.
Questa generale debolezza valutaria dei cinque Paesi esaminati non deve però far pensare che il quadro sia esattamente quello del 2013. Non a caso, Morgan Stanley ha poi modificato la lista originaria dei Paesi fragili, inserendo nel 2016 il Messico e la Colombia al posto di Brasile e India. Certo, i cinque del 2013 hanno ancora dei punti deboli, ma alcuni problemi sono stati affrontati. “Oggi, i cosiddetti Fragile Five sono in una posizione molto diversa da quella che occupavano nel 2013”, commenta Joseph Mouawad, fund manager di Carmignac specializzato sul debito emergente. Da una prospettiva relativa all’inflazione, prosegue Mouawad, “solo la Turchia ha seri problemi. India e Indonesia hanno accumulato ingenti riserve negli ultimi anni, portando avanti nel frattempo una politica monetaria molto ortodossa. Dal punto di vista della bilancia commerciale, poi, Brasile e Indonesia non hanno più un deficit significativo”. Poi però ci sono i problemi ancora in piedi. “L’India ha ancora un deficit delle partite correnti e un forte deficit fiscale e la situazione è in peggioramento, visto che il Paese è un importatore di petrolio. Anche il Brasile non ha ancora stabilizzato la sua situazione fiscale, mentre il Sudafrica è entrato in recessione quest’anno nonostante il buon contesto del mercato minerario e la previsione di maggiore fiducia dopo le elezioni di un nuovo presidente nell’Anc (il partito che domina la politica del Paese dalla fine dell’apartheid, ndr). Nell’insieme quindi il quadro dei Fragile Five è migliorato dal punto di vista macro, ma ci sono ancora fragilità significative, che potrebbero venire fuori in caso di riduzione della liquidità”, conclude Mouawad.
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