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Allarme rosso per il greggio. Male anche i metalli industriali e preziosi, mentre arrivano spiragli dall’agricoltura. Ecco perché il comparto sta soffrendo
L’allarme rosso è appena suonato per il petrolio, con l’Aie che nel suo rapporto annuale ha previsto per la prima volta nella storia un picco della domanda mondiale prima della fine del decennio. Ma il futuro, almeno nell’immediato, appare grigio per quasi tutte le commodity. Prova ne sono le performance del mese terminato a fine maggio, che hanno fatto segnare al comparto un calo del 4%. Un calo destinato a durare e che affonda le radici in due cause: la ripresa cinese, che non procede spedita come previsto, e i venti di recessione, che continuano a soffiare su entrambe le sponde dell’Atlantico. Ma a consolare gli investitori resta ancora una cosa: le materie prime agricole.
Cina e recessione: due zavorre per le commodity
“L’idea che la ripresa cinese sia in gran parte trainata dai servizi piuttosto che dal settore manifatturiero sta offrendo un sostegno relativamente scarso alle materie prime”, spiega Nitesh Shah. Secondo l’head of commodities and macroeconomic research di WisdomTree, i mercati non hanno infatti una narrativa chiara a cui aggrapparsi su Pechino e ciò spiega in parte l’andamento altalenante dei prezzi. “Manteniamo una visione costruttiva circa la ripresa cinese nel 2023 ma riteniamo che l’ottimismo del mercato all’inizio dell’anno fosse eccessivo. La pazienza è invece giustificata per consentire al Dragone di riprendersi gradualmente quest’anno”, puntualizza.
Altro driver individuato da Shah sono aspettative di recessione nelle principali economie sviluppate. Anche su questo fronte, i mercati non hanno infatti un quadro chiaro e c’è divergenza di opinioni in merito alla possibilità che gli Usa arrivino a un atterraggio duro o morbido o evitino del tutto la recessione. “I dati economici degli Stati Uniti non indicano ancora la strada da percorre. L’inflazione continua a scendere, mentre il mercato del lavoro e la fiducia dei consumatori rimangono stabili. Nel frattempo, però, le trattative sul tetto del debito hanno creato molto rumore, danneggiando il sentiment degli asset di rischio”, osserva l’esperto, precisando che un accordo calmerebbe i nervi e solleverebbe il sentiment sia per le azioni sia per le commodity.
Il petrolio guida il calo delle commodity energetiche
Il caso più eclatante è quello del petrolio, che ha peggiorato la performance già negativa delle materie prime energetiche. Nel mese di maggio, il greggio ha perso quasi dieci punti percentuali sulla scia dei timori degli investitori per i rischi di recessione. A niente è servito il taglio di un altro milione di barili al giorno annunciato dall’Arabia Saudita, primo Paese al mondo per riserve di oro nero, nel tentativo di riportare i prezzi sopra gli 80 dollari: come già accaduto ad aprile, dopo la riduzione a sorpresa decisa dall’Opec+, il mercato ha ignorato la mossa e le quotazioni sono rimaste in zona 70 dollari.
La conferma sulle difficoltà future è arrivata anche dall’ultimo report dell’Agenzia internazionale dell’energia, secondo cui la domanda mondiale è destinata a rallentare fin quasi a fermarsi nei prossimi anni. Complici i prezzi alti ma anche le preoccupazioni in materia di sicurezza dell’approvvigionamento, che stanno accelerando il cambiamento verso tecnologie energetiche più pulite. Secondo l’ente, le richieste saliranno del 6% a 105,7 milioni barili al giorno tra il 2022 e il 2028 ma questo incremento cumulativo non frenerà la diminuzione della domanda annua da 2,4 milioni di barili a soli 0,4 milioni.
“Gli Stati Uniti hanno in programma di rifornire la loro riserva strategica di petrolio ma l’annuncio ha avuto un impatto minimo sui prezzi, poiché le preoccupazioni del mercato ruotano attorno ai problemi del tetto del debito Usa, alla politica monetaria e al rallentamento delle condizioni economiche”, fa notare l’head of commodities and macroeconomic research di WisdomTree. Per l’esperto, il mercato dei futures mostra un profondo pessimismo su Brent e Wti, mentre gli investitori contrari vedono opportunità nei prodotti negoziati in borsa. “I mercati sembrano comunque non tenere considerare il rischio di un ulteriore intervento da parte dell’Opec+ in occasione della prossima riunione. Il gas naturale ha subito perdite quest’anno ma si prevede un aumento della domanda con la preparazione dell’inverno in Europa, anche se quella attuale rimane bassa”, sottolinea.
Metalli industriali i più colpiti. Male anche quelli preziosi
A pagare il prezzo più alto dell’attuale contesto di incertezza sono stati, però, i metalli industriali. Tra i maggiori detrattori ci sono il nichel e lo zinco, entrambi beni di cui la Cina è di gran lunga il maggior consumatore. “Le curve dei futures sono per lo più in contagio, tranne che per il leggero backwarding di piombo e stagno. Ciò indica che i mercati non si aspettano una stretta dell’offerta nel breve termine”, chiarisce l’esperto WisdomTree.
Anche i metalli preziosi hanno registrato il segno meno (-1,4%) ma il mese è stato ricco di eventi, a partire dal flirt dell’oro con i massimi storici. “Il deprezzamento del dollaro da novembre ha ampiamente sostenuto il lingotto negli ultimi mesi, con un ulteriore supporto derivante dai problemi del settore bancario e dai continui timori di un’imminente recessione”, spiega Shah. Che aggiunge: “A maggio, tuttavia, il biglietto verde ha riguadagnato parte del terreno perduto, poiché i mercati si aspettano un’ulteriore stretta da parte della Fed. Questo ha fatto sì che l’oro si ritirasse nuovamente dai massimi storici”.
Qualche spiraglio di luce dalle materie prime agricole
Infine, le materie prime agricole. Nonostante il calo complessivo, nel settore non è mancato qualche spunto positivo. I prezzi del cotone, fa notare l’esperto, sono aumentati dell’8,8% grazie alle previsioni positive dell’Usda, con scorte statunitensi più limitate e un aumento delle esportazioni. Stesso discorso per lo zucchero, salito del 4,7%, in previsione di una diminuzione dell’eccedenza globale e di un aumento del consumo. Diverso il discorso per il grano, che resta sotto pressione a causa dell’estensione dell’accordo sui cereali tra Russia e Ucraina. “Ma le previsioni più basse sui raccolti statunitensi e le condizioni climatiche avverse in Argentina pongono rischi di approvvigionamento. E anche quelle sulla produzione russa, che pure sono state riviste al rialzo, non sembrano poter impattare in positivo sulle esportazioni”, conclude Shah.
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