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Inflazione, politica monetaria e venti di guerra hanno segnato gennaio 2022 sui mercati, dove l’unica vera protagonista è stata per ora l’alta volatilità. Da inizio anno l’S&P 500 ha lasciato sul terreno quasi l’8% e al Nasdaq è andata pure peggio, con oltre il 70% delle componenti in territorio ribassista e la metà in calo di oltre il 40%. Intanto, il rendimento dei Teasury a 10 anni è schizzato all’1,78%, un livello che non si vedeva da prima della pandemia, da gennaio 2020, ed è salito anche il Bund tedesco equivalente, per essere scambiato vicino allo zero per la prima volta da maggio 2019, raggiungendo un rendimento del -0,09% la seconda settimana del mese.
A Jerome Powell, capo della Federal Reserve statunitense, è quindi toccato l’arduo compito di rassicurare gli investitori circa le sue manovre hawkish, in grado di combatte la fiammata non più così transitoria dell’inflazione, schizzata a dicembre al 7%, senza però far deragliare la fragile ripresa dell’economia. Rassicurazioni arrivate sia sul fronte dei tassi sia su quello dell’avvio del quantitative tightening.
In questo quadro la Fed lascia i tassi invariati. Il costo del denaro resta fermo fra zero e 0,25%, ma il numero uno della Banca centrale, Jerome Powell, avverte: “A breve sarà appropriato alzare i tassi di interesse”, al termine della due giorni di riunione del Fomc.
“In un primo tempo, lo spettro di un incremento dei tassi ha sostenuto una parte del mercato, incoraggiando una rotazione dai cosiddetti titoli growth verso quelli value, come le società finanziarie ed energetiche – spiega Geraldine Sundstrom, portfolio manager asset allocation di Pimco -. Ma l’umore è rapidamente cambiato quando la prospettiva di una Federal Reserve costretta a sacrificare la crescita per tenere a bada l’inflazione ha fatto precipitare tutti i segmenti del mercato. In particolare, i risultati societari delle banche, pubblicati a inizio stagione, hanno dimostrato che il settore non è immune dall’inflazione dei costi e che la crescita dei prestiti difficilmente aumenterà in un contesto di tassi in rialzo. L’indice KBW Bank ha pertanto ceduto tutto il terreno guadagnato da inizio anno (11%) nell’arco di una settimana”.
Per l’esperta però l’inflazione potrebbe presto diventare un problema appartenente al passato dal momento che si scorgono segnali di un miglioramento della situazione nel corso dell’anno, cosa che rende meno probabile una mossa drastica e pregiudizievole della Fed. Tra i fattori che contribuiranno a questo miglioramento, Sundstrom annovera la stretta fiscale, il calo della fiducia dei consumatori, la riduzione della domanda e un contesto operativo migliore per le aziende, con le strozzature nelle catene di fornitura che iniziano progressivamente ad attenuarsi. Non solo: anche l’inasprimento monetario sincronizzato a livello mondiale contribuirà a ridurre la domanda.
Per tutte queste ragioni, Sundstrom si dice dunque più ottimista sui prezzi nel 2022 rispetto al 2021, ritenendo quindi che l’ipotesi più verosimile sia che i mercati stanno reagendo in misura eccessiva. “Abbiamo sempre sostenuto che l’inflazione sarebbe stata estremamente elevata nei primi mesi del 2022 e, soprattutto, che la crescita avrebbe evidenziato un netto rallentamento una volta esauritosi l’effetto boom delle riaperture – afferma -. Sono mesi ormai che Pimco ha formulato queste previsioni e nelle ultime settimane non si è osservato nulla di nuovo, se non la paura stessa. La logica di un’economia di metà ciclo sembra alquanto ancorata e fa presumere una rotazione verso i titoli growth convenienti e di qualità più elevata, laddove il posizionamento in vista di una recessione appare prematuro”.
Più cauta Fabiana Fedeli, chief investment officer della divisione Equities e Multi Asset di M&G Investments, secondo cui per quanto riguarda l’azionario, la variabile principale da considerare non è tanto l’inflazione ma le previsioni che la circondano. “Fintanto che le prospettive di crescita restano costruttive, l’azionario ne beneficerà, in particolare perché da un punto di vista di valutazione relativa se la cava meglio rispetto ad altre asset class. Tuttavia – avverte -, se l’inflazione dovesse avere un impatto negativo sulle aspettative economiche, o vi fosse un errore di politica monetaria (nel caso in cui le banche centrali inasprissero le proprie politiche troppo e troppo velocemente), allora il discorso per l’azionario cambierebbe”.
Altre aree da monitorare con attenzione secondo la Fedeli sono i prezzi dell’energia, che possono influenzare indirettamente il consumo discrezionale degli americani o una qualsiasi riacutizzazione delle tensioni geopolitiche. Infine, a livello di settori, un rischio incombente per il settore tech è la maggiore regolamentazione.
“Il mercato azionario statunitense offre una grande estensione e profondità di opportunità tra titoli growth e value – conclude quindi la Fedeli -. Per gli investitori attivi si tratta di sfruttare l’aumento della divergenza dei rendimenti e l’ampliamento delle dispersioni di valutazioni tra i settori e al loro interno. Ci aspettiamo che questo trend continui in un contesto caratterizzato da inflazione, politica monetaria e Covid-19 ancora incerti, che sta già fornendo dei buoni entry point nel 2022, ma dove la selettività rimane fondamentale”.
Quanto al reddito fisso, secondo Philippe Gräub, head of global fixed income di Ubp, il quadro macroeconomico resta positivo per il credito, poiché non si prevede che le scelte hawkish delle Banche centrali portino a un inasprimento delle condizioni finanziarie. “Sebbene ci aspettiamo una crescita dei tassi reali, l’aumento partirebbe da livelli storicamente bassi e quindi non dovrebbe avere un impatto eccessivo sugli asset di rischio. Inoltre, poiché le Banche centrali si apprestano ad alzare i tassi per la prima volta da molti anni, esse sono incentivate a compiere questa operazione nel modo più fluido possibile e a un livello tale da poterli tagliare di nuovo in caso di futura recessione”, sostiene.
“La nostra analisi indica che un certo livello di inflazione, che non sia eccessivo, è in effetti un fattore positivo per le aziende: i perdenti dell’inflazione rappresentano solo il 17% del mercato del credito investment grade europeo”, aggiunge Gräub, che ha una preferenza per il credito ad alto beta con duration bassa, “favorendo il debito finanziario subordinato, in particolare gli AT1, che dovrebbero beneficiare dell’aumento dei tassi, e l’high yield, grazie a valutazioni interessanti e a fondamentali migliorati”.
Secondo Stéphan Monier, chief investment officer di Lombard Odier Private Bank, se nei passati cicli di rialzo dei tassi il credito corporate tendeva a sovraperformare il debito sovrano, in scia al restringimento degli spread, assorbendo in parte l’impatto degli aumenti dei tassi, un tale scenario potrebbe essere difficile da ottenere nel 2022.
“I rendimenti sono complessivamente più bassi e gli spread sono più ridotto rispetto agli standard storici. Con i rendimenti dei titoli di stato destinati a salire nel 2022, ci aspettiamo che entro fine anno i Treasury Usa a 10 anni e i Bund tedeschi si attestino rispettivamente al 2,25% e allo 0,25% – chiarisce -. In linea con le aspettative di normalizzazione delle politiche negli Stati Uniti e nell’Eurozona, preferiamo in generale le obbligazioni con scadenza breve e il debito corporate a tasso variabile. A livello di asset class, siamo sottopesati sia per titoli di stato e il credito investment grade rispetto al credito asiatico in dollari e il debito cinese denominato in renminbi che offrono possibilità di diversificazione del portafoglio”.
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