Hiren Dasani, co-head of Emerging Markets Equity e lead portfolio manager delle strategie India Equity di Goldman Sachs Asset Management, dialoga con FocusRisparmio sulle prospettive del sub-continente asiatico che secondo l’esperto si avvia verso dieci anni di crescita vicina alla doppia cifra
Hiren Dasani, co-head of Emerging Market Equity di Goldman Sachs Asset Management
“I mercati emergenti sono un sistema complesso dove è importante distinguere fra Paesi, settori e, soprattutto per un gestore attivo, singole aziende”. Hiren Dasani, co-head of Emerging Markets Equity e lead portfolio manager delle strategie India Equity di Goldman Sachs Asset Management, è molto chiaro nel sottolineare la crescente complessità di una asset class cresciuta nell’ultimo decennio in modo esponenziale nell’economia globale, sia in termini assoluti che di contribuzione alla crescita globale.
Il più grande apporto in tal senso è derivante dall’ascesa della Cina, tanto significativa da determinare una considerazione assolutamente specifica da parte di gestori e investitori. A conferma di questo cambiamento, Goldman Sachs Asset Management ha deciso di lanciare nel 2022 un nuovo strumento, il Goldman Sachs Emerging Markets Ex-China Equity Portfolio, che testimonia la necessità di un nuovo approccio per preservare la purezza dell’esposizione ai mercati emergenti da parte degli investitori.
Un’affermazione che riguarda tutti i mercati emergenti, però, è possibile farla. “Nel caso in cui gli Stati Uniti entrassero in recessione, cosa non certa, le conseguenze negative in termini di crescita per gli emergenti sarebbero significative, in particolare per tutti quei Paesi ad alto tasso di esportazione”, afferma il co-head of Emerging Markets Equity e lead portfolio manager delle strategie India Equity di Goldman Sachs Asset Management.
Un potenziale da sub-continente
“L’India è posizionata per essere tra le economie con i più alti tassi di crescita reale nel medio e lungo periodo, con un potenziale che si attesta al 6-7% per almeno i prossimi dieci anni”, spiega Dasani, identificando in maniera netta dove risieda la più rilevante opportunità di lungo termine dell’asset class. “Considerando l’inflazione, la crescita nominale in valuta locale può essere in maniera stabile tra l’11% e il 12%. Non ci sono molte economie al mondo che hanno prospettive altrettanto alte”, completa.
I fattori che guidano la crescita sono, secondo l’esperto, la demografia e il mercato domestico, con consumi e infrastrutture che rappresentano dunque i settori chiave dell’economia. Un’economia che si aggira intorno ai 3.000 miliardi di dollari e che, qualora venissero mantenute le aspettattive, arriverà tra il 2050 e il 2060 a superare Germania e Giappone, posizionandosi al terzo posto per dimensione a livello mondiale, dietro a Stati Uniti e Cina. Questo significa che progressivamente gli investitori saranno chiamati a costruire un’allocazione ad hoc sul subcontinente indiano, situazione ormai consolidata per quanto riguarda la Cina.
Condizioni attuali e plus del mercato indiano
“Guardando al breve periodo, ci sono stati venti contrari sull’economia indiana, primariamente legati al ciclo del mercato immobiliare e delle infrastrutture con alcuni default nel 2018 che avevano generato un’onda lunga di depressione del comparto con conseguenze anche nel settore finanziario. Il governo si è però dimostrato in grado di intervenire con riforme sul mercato del lavoro e in ambito fiscale, come il taglio delle tasse per le aziende, creando le precondizioni per una decisa ripresa nel momento in cui si risolveranno completamente le problematiche legate alla pandemia”.
Dopo la descrizione del punto di partenza, Dasani passa all’individuazione degli elementi tecnici strutturali che rendono l’azionario indiano particolarmente attrattivo. “Il ritorno sul capitale è una delle caratteristiche distintive più positive dell’economia indiana”, spiega. “In qualità di investitori azionari attivi, non guardiamo alla semplice crescita del prodotto interno lordo, ma a società selezionate in base alla loro profittabilità. Ci sono due fondamentali ragioni per cui il return on equity delle compagnie del settore privato indiano è particolarmente interessante: la prima è da ricercare nella struttura di un mercato in cui il costo del lavoro è contenuto mentre quello del capitale relativamente alto. La seconda è un contesto ad alto tasso di concorrenza. La combinazione di questi due fattori porta la classe imprenditoriale indiana a concentrarsi fortemente sulla crescita della profittabilità.”
Da un punto di vista sistemico il co-head of Emerging Markets Equity e lead portfolio manager delle strategie India Equity di Goldman Sachs Asset Management Dasani non vede, nonostante il recente passato, particolari problematicità legate all’immobiliare e alle infrastrutture. “Questo settore”, ricorda l’esperto, “ha i propri cicli spesso slegati all’andamento generale. Dal 2004 al 2012 il real estate ha vissuto un periodo di espansione, seguito da una contrazione che si è estesa fino al 2020. Oggi è iniziata la ripresa, ma questo settore continuerà a comportarsi secondo i propri cicli e non costituisce un particolare pericolo a livello sistemico”.
Il solo aspetto di vulnerabilità generale segnalato da Dasani relativamente all’economia indiana è legato alla dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime energetiche. “Se dovesse alzarsi in modo repentino il prezzo del petrolio per effetto di choc dell’offerta sarebbe certamente un problema per l’economia indiana. Per questo motivo ci aspettiamo una grande concentrazione da parte delle istituzioni nei prossimi anni sugli investimenti in energia rinnovabile finalizzati a diminuire la dipendenza dall’estero. Ci vorrà però del tempo prima di vedere risultati rilevanti in questo ambito”, afferma.
Prospettive e flussi
Il posizionamento degli investitori esteri sul mercato indiano ha vissuto una fase di particolare spinta negli anni 2014 e 2015 in concomitanza con la prima elezione del Primo Ministro Narenda Modi. Un periodo di grande fiducia e speranze nel piano di riforma del Paese. “L’economia ha fatto molto bene fino al 2017 per entrare poi in una fase di rallentamento di due-tre anni”, contestualizza Dasani. “Le premesse create con l’ulteriore campagna di riforme del governo del 2019 non hanno dato finora i frutti sperati a causa dello stop imposto dal Covid che ha messo in stand by il percorso di ripresa. I pesanti lockdown del 2020 hanno influito fortemente sui risultati economici e ci si è resi conto di non poter sostenere uno stop tanto generalizzato per un lungo periodo di tempo. Nel 2021 il mandato delle istituzioni è stato quello di equilibrare le esigenze sanitarie e socio-economiche”, aggiunge, giungendo infine alle conseguenze sui flussi.
“Da ottobre 2021 gli investitori internazionali hanno venduto quote significative di azionario indiano. La quota di flussi in uscita è persino maggiore di quella del 2008, ma l’esposizione domestica sta controbilanciando i deflussi degli investitori esteri. Questo fattore, insieme alla resilienza del mercato e alle valutazioni attraenti, rappresentano una possibile opportunità di ingresso”, conclude.
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