Il colosso elvetico non si aspetta una forte recessione per il prossimo anno e prevede che i rialzi dei tassi in Usa e area euro terminino dopo il primo trimestre 2023
Anna Guglielmetti, responsabile gestioni istituzionali di Credit Suisse AM
Uno scenario di mercato impegnativo per il reddito fisso, ma meno negativo di quanto previsto dal consensus. Anna Guglielmetti, responsabile gestioni istituzionali di Credit Suisse Asset Management, prevede per il prossimo anno una crescita leggermente positiva per gli Usa e una lieve contrazione per l’Europa. Mentre sulle politiche monetarie l’attesa è che i rialzi dei tassi negli Usa e nell’area euro si fermino dopo il primo trimestre, dopo un ciclo di rialzi già scontato nei prezzi.
Qual è il vostro outlook sui mercati per i prossimi mesi?
Sulla visione di mercato ci posizioniamo in modo relativamente positivo: contrariamente ad altri, non prevediamo una grossa recessione per il 2023. Anzi, per gli Stati Uniti ci aspettiamo una crescita molto modesta ma positiva, intorno allo 0,9%, ma con un’inflazione che in media ci aspettiamo che si attesti al 4,1% l’anno prossimo, quando a nostro avviso si manifesterà un rallentamento ma non un ritorno ai livelli cui ci eravamo abituati in passato.
Per l’area euro abbiamo per il prossimo anno una previsione di crescita negativa ma in misura modesta, a meno 0,2%. Tra i Paesi, quello che spicca in senso negativo è la Germania, per la quale prevediamo una contrazione dello 0,8%. Per l’Italia l’attesa è di una contrazione dello 0,2%. Sul piano dell’inflazione, che in Europa è partita un po’ in ritardo, ci aspettiamo un rallentamento meno pronunciato: quest’anno ci aspettiamo un livello di inflazione dell’8,6%, e per il prossimo anno del 6%.
E in questo scenario, cosa vi aspettate dalle banche centrali?
Sia per la Fed sia per la Bce la nostra attesa è che i rialzi si fermeranno dopo il primo trimestre. Per la Federal Reserve le nostre previsioni sono che il rialzo dei tassi si fermi al 4,75% – 5%. Ci aspettiamo ancora un mezzo punto di aumenti a dicembre e altri due rialzi, da 25 punti base ciascuno, all’inizio dell’anno. Riteniamo che si tratti di uno scenario positivo, perché se guardiamo alle attuali condizioni di mercato ci rendiamo conto che questi rialzi sono già scontati.
Anche per la Bce, che al momento ha alzato i tassi sui depositi all’1,5%, prevediamo tre rialzi, ma in misura più aggressiva, in parte perché su questo fronte è rimasta indietro rispetto alla Fed, ma anche per l’inflazione è più alta. È vero che Christine Lagarde ha parlato di notevoli progressi già compiuti verso la normalizzazione, ma d’altro canto ha anche ribadito che il focus rimane il contenimento dell’inflazione. Ci aspettiamo dunque un rialzo di 75 punti base a dicembre, altri 50 a febbraio e 25 a marzo, quindi in tutto un punto e mezzo da qui al primo trimestre. Anche in questo caso, se si guardano i tassi forward ci si rende conto che questi prossimi rialzi sono già riflessi nei prezzi.
In quale modo questo scenario dovrebbe impattare sul mercato obbligazionario?
Le condizioni descritte non sono particolarmente favorevoli al buon andamento del mercato obbligazionario. Peraltro, la Bce non ha parlato di un quantitative tightening in ottobre, ma potrebbe parlarne a dicembre. A un certo punto ci sarà quindi un’interruzione negli acquisti di titoli di stato, e anche questa si configura come una variabile negativa per il mercato del reddito fisso.
In questo scenario macro e dei tassi, secondo noi è ancora presto per aumentare aggressivamente la duration.
In che modo siete posizionati in questo senso?
Siamo posizionati con una duration sottopesata rispetto ai benchmark più o meno da quando si è iniziato a capire che l’inflazione era un problema permanente e non temporaneo: già da inizio anno abbiamo accorciato la duration sulla parte governativa e non abbiamo più comprato duration su corporate e high yield. Su questi ultimi due segmenti abbiamo portafogli moto diversificati ma siamo in modalità “buy and hold”, abbiamo smesso di comprare. Sui governativi, invece, che sono più liquidi, abbiamo venduto.
Al momento abbiamo molta liquidità sui portafogli, e iniziamo gradualmente a comprare duration sulla parte breve perché attualmente i tassi sono diventati molto interessanti. Quindi la nostra idea è di iniziare a investire la liquidità che abbiamo nei portafogli poco per volta, ma riteniamo che non sia ancora il momento di comprare pesantemente la duration.
Quali sono i segmenti che ritenete più interessanti?
Premetto che riteniamo che sia ancora molto importante avere portafogli molto diversificati, pensiamo che sia il momento di iniziare a comprare i corporate investment grade europei, sui quali ci sono buone occasioni. Stiamo iniziando a rientrare su questo mercato per vari motivi, a partire dalle valutazioni, che sono a livelli interessanti e in alcuni casi scontano una recessione che noi non prevediamo. Inoltre il posizionamento del mercato non sembra indicare altre grosse discese, ci sono segnali di stabilizzazione anche dal punto di vista tecnico, e i rendimenti sono appetibili.
Ovviamente resta importante l’attenzione ai fondamentali: anche se non ci aspettiamo una grossa recessione, occorre essere cauti sulla scelta dei nomi, evitando quelli che possono diventare fallen angel o sub-investment grade.
E sugli emergenti?
Sugli emergenti suggeriamo di muoversi con cautela, sia in ragione del dollaro forte – anche se la divisa Usa sta terminando la sua salita – sia perché su questi mercati ci sono deflussi ancora molto forti. Anche in questo caso, più avanti si può iniziare a riguardare questo mercato facendo molta attenzione alla selezione dei titoli e tenendosi sui Paesi più difensivi, ma in questo momento tra emergenti ed euro corporate preferiamo i secondi.
Quali sono le vostre preferenze a livello di settori e di categorie di titoli?
Non abbiamo un approccio settoriale perché la nostra selezione avviene sulla base del singolo titolo.
A livello di categorie, troviamo che gli ibridi siano molto a buon mercato. Inoltre hanno uno spread che si è allargato molto e soprattutto gli ibridi con rating un po’ più alti – tripla o doppia B – sono molto interessanti.
Sugli high yield alla luce del nostro scenario siamo abbastanza ottimisti,visto che il mercato sta scontando tassi di tassi di default in linea con una recessione. Ma preferiamo comprare gradualmente, differenziando i nomi e cominciando da titoli più sicuri, cominciando dagli investment grade. Anche sugli high yield le occasioni sono soprattutto sui titoli con rating BB, che pure hanno rendimenti già interessanti, per cui ci appare inutile andare a rischiare su titoli B.
Ci piacciono anche i titoli legati all’inflazione. Secondo qualcuno sono cari, ma noi non siamo di questo avviso. Del resto, ci aspettiamo che l’inflazione rimanga un po’ rigida verso il basso, e non scenda subito.
Com’è cambiato in questo periodo l’approccio degli investitori?
Non ci sono stati cambiamenti sensazionali, se non nel gradire un po’ di più la liquidità nei portafogli. In precedenza la liquidità era vista come una sorta di mostro, mentre adesso si è capito che soprattutto nei portafogli Total Return anche la liquidità può essere uno strumento di asset allocation..
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