Azionario globale, è l’anno dei finanziari
L’inversione di tendenza delle politiche monetarie dei paesi sviluppati avrà un forte impatto anche sui mercati azionari, favorendo il settore bancario. La view di tre asset manager per il 2018.
Le azioni di piccole e medie dimensioni sono un ottimo segmento dove cercare extrarendimenti per tutta una serie di ragioni: nel comparto si può trovare crescita quando questa manca altrove, in quanto le small cap più flessibili, dotate di un management con un approccio più imprenditoriale e mirato, riescono a sottrarre quote di mercato ai player affermati.
In questo settore, inoltre, la gestione attiva può assumere un forte valore aggiunto in virtù di caratteristiche quali la scarsa copertura della classe di attivi e una maggiore dispersione delle performance rispetto alle large cap: con tanti titoli tra cui scegliere c’è una maggiore possibilità di trovare opportunità laddove vi siano valutazioni non corrette.
“Riteniamo che società con questo profilo rappresentino ottimi investimenti a lungo termine perché il mercato tende a sottostimare il valore dei vantaggi competitivi, che invece consentono alle aziende di mantenere nel tempo rendimenti elevati” osserva Mark Heslop, gestore azionario globale di Columbia Threadneedle Investments, responsabile del fondo Threadneedle Global Smaller Companies dal novembre 2013.
“I motivi a favore delle small cap sono ben noti”, spiega il fund manager. “Le società a bassa capitalizzazione tendono ad avere un approccio maggiormente imprenditoriale rispetto alle controparti di maggiori dimensioni e si concentrano su nicchie di mercato specifiche” legate a prodotti e temi d’investimento a cui gli investitori in large cap possono avere difficoltà ad attingere.
Oltre a una dinamica di crescita più vivace, riflette Heslop, l’universo small cap presenta una serie di caratteristiche che gli investitori attivi possono sfruttare per generare alfa, tra cui la relazione direttamente proporzionale tra efficienza di mercato e capitalizzazione societaria, che declinata al negativo implica che le small cap presentano parecchie opportunità per le gestioni attive. “Il livello di ricerca, e quindi di copertura mediatica, tende ad essere inferiore nel caso delle small cap. Questo stato di cose offre opportunità preziose per investitori scrupolosi intenti a ricercare titoli che presentano anomalie di prezzo”.
Non solo: le small cap sono anche meno liquide, caratteristica che ne accentua ulteriormente l’inefficienza. “Pertanto, i titoli possono essere soggetti ad anomalie di prezzo per lunghi periodi di tempo. Durante le fasi di crisi o di correzione del mercato, un investitore attivo può trarre vantaggio da tale inefficienza”.
Caratteristiche che sono riflesse in una performance di lungo periodo superiore per le small cap globali rispetto alle large cap globali, pari al 10,3% annuo per l’indice small cap dal 1998 contro il 5,2% di quello large cap, con una sovraperformance cumulata nell’ordine del 143%.
PERFORMANCE DELLE SMALL CAP VS. LARGE CAPFonte: MSCI, Bloomberg, dati al 31 dicembre 2017. Rendimento totale dal 31 dicembre 1998. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Tutti i rendimenti sono espressi in dollari USA.
Una delle obiezioni che più spesso si oppongono all’investimento in small cap è che il rischio è più elevato su base assoluta rispetto a quello in aziende a più alta capitalizzazione. Eppure, dati alla mano, il profilo ponderato per il rischio è migliore e le small cap “generano rendimenti migliori pur comportando un aggravio di rischio appena modesto”, spiega Heslop.
PROFILO DI RISCHIO/RENDIMENTO DELL’INDICE SMALL CAP RISPETTO ALLE LARGE CAP GLOBALIFonte: MSCI, Bloomberg, dati al 31 dicembre 2017. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Tutti i rendimenti sono espressi in dollari USA.
Tra i capisaldi della strategia di gestione di Heslop rientrano un basso turnover (la misura che indica quanto viene movimentato nell’anno il patrimonio gestito con acquisti e vendite di titoli) e un’alta concentrazione di portafoglio.
“Il nostro intento è acquistare e detenere un singolo titolo quanto più a lungo possibile, e altresì di ridurre l’universo di investimento da circa 4.000 emissioni a un portafoglio bilanciato e diversificato di 70-90 partecipazioni”. Puntare sui campioni di settore, insomma. Questo perché, osserva Henslop, “sono numerose le caratteristiche a livello di settore o modello di business che possono conferire a una società vantaggi competitivi sostenibili e una maggiore redditività a lungo termine”.
“Le dimensioni di per sé non rappresentano necessariamente un impedimento per i nuovi concorrenti, ma possono senz’altro costituire un enorme ostacolo”, afferma il gestore facendo l’esempio di Cargojet, operatore canadese di trasporto merci per via aerea che controlla il 95% del mercato overnight nazionale e che nel fondo di Henslop pesa per il 2% – quarta partecipazione del fondo, non presente nell’indice di riferimento MSCI The World Small Cap (fonte: factsheet del fondo al 28 febbraio 2018).
“La sua posizione di quasi totale monopolio è ulteriormente rafforzata dalle norme sul cosiddetto «cabotaggio», che impediscono a operatori esteri di entrare sul mercato. Per competere con Cargojet, un nuovo concorrente dovrebbe investire enormi capitali per costruire una propria rete, ma nel contempo operare con tassi di utilizzo molto ridotti, in attesa di conquistare un suo bacino di clientela”. Considerando l’orizzonte di lungo termine dei contratti che Cargojet ha stipulato con clienti del calibro di DHL e UPS, “una simile impresa potrebbe rivelarsi lunga e costosa”.
Le società che sono in grado di consolidare mercati frammentati e inefficienti possono beneficiare di importanti sinergie in termini di costi e migliorare la performance operativa complessiva. “È il caso di SiteOne Landscape Supply, che dopo 17 di presenza sul mercato è diventato il principale distributore all’ingrosso di forniture da giardino negli Stati Uniti e, di conseguenza, sta incoraggiando la professionalizzazione di un settore fatto da piccole imprese, storicamente molto frammentato”, osserva Henslop.
Malgrado abbia una quota di mercato di appena il 10%, la società vanta dimensioni pari a quattro volte il suo concorrente più prossimo. Pertanto, SiteOne offre la gamma di prodotti più ampia del settore (oltre 100.000 articoli diversi reperiti da oltre 3.000 fornitori) ed è in grado di sfruttare i suoi marchi nonché il suo budget per il marketing su una rete più estesa”.
“Quando un prodotto o un servizio è profondamente integrato nelle attività operative dei clienti, cambiare fornitore può rivelarsi proibitivo dal punto di vista dei costi oltreché rischioso” spiega Henslop portando l’esempio di Sartorius, azienda che rifornisce il settore biofarmaceutico.
“I suoi prodotti vengono impiegati per biofarmaci, come ad esempio i trattamenti oncologici, e hanno costi di sostituzione molto elevati. Pertanto verranno utilizzati per l’intera vita del farmaco, che può durare 10-20 anni. Le barriere d’ingresso risultano quindi elevate, poiché la società farmaceutica di turno selezionerà soltanto i fornitori che ritiene siano in grado di garantirle per molti anni quantità elevate con la necessaria qualità”.