Fed, i gestori vedono un aumento dei tassi dello 0,25%
Dopo la tempesta bancaria, l’attesa del mercato è per un Powell più morbido. Ma non si escludono sorprese
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Tutto come da copione. Compresa l’apertura, vincolata ai dati, verso un alleggerimento della cura da cavallo che la Fed ha messo in campo contro un’inflazione ai massimi da 40 anni. Nell’ultima riunione, il Fomc ha tirato dritto sul suo percorso di inasprimento monetario annunciando un altro consistente aumento dei tassi di interesse, 75 punti base, e segnalando che probabilmente sono da attendersi altre strette.
Ma nonostante Jerome Powell e colleghi abbiano deciso all’unanimità di portare il tasso sui Fed Funds a un intervallo compreso tra il 2,25% e il 2,5%, dopo un aumento dello 0,75% il mese scorso, dello 0,50% a maggio e dello 0,25% a marzo, i mercati hanno accolto bene la decisione proprio in virtù dell’accenno in conferenza stampa a un possibile rallentamento del ritmo dell’inasprimento.
“Il mercato dei Treasury ha registrato un’impennata in risposta alla dichiarazione e ai commenti di Powell, suggerendo che i mercati stavano prezzando il rischio di un’azione più aggressiva alla luce delle recenti sorprese sull’inflazione”, commenta Tiffany Wilding, Us economist di Pimco, che fa notare come in effetti, l’inflazione in gran parte del mondo è stata più persistente di quanto previsto dai banchieri centrali sollevando il timore che possa essere necessaria una recessione, e non solo un periodo di crescita inferiore al trend, per ripristinare la stabilità dei prezzi. Soprattutto negli Stati Uniti.
Dunque per la Wilding, sebbene vi sia incertezza circa l’esatto livello del tasso dei Fed Funds coerente con le indicazioni ‘modestamente restrittive’ fornite dal presidente, “è chiaro che i membri del Fomc non ritengono di averlo ancora raggiunto, e potrebbe essere più vicino al picco del 4% del 2023 previsto dalla stima media inclusa nel Sep di giugno”.
Anche per Federico Vetrella, market strategist di IG Italia, i mercati sembrano aver digerito favorevolmente l’aumento dei tassi di interesse e stanno ora scontando una rinormalizzazione delle condizioni macroeconomiche. “La sicurezza delle parole di Powell, che intende riportare le pressioni inflazionistiche fino al target del 2%, sta aumentando la fiducia degli investitori verso le mosse della Federal Reserve”, evidenzia ricordando come anche i risultati delle trimestrali statunitensi stanno mostrando una forte solidità sull’outlook futuro.
“La Fed rimane dunque ancorata alla sua missione di frenare le pressioni inflazionistiche senza però compromettere la crescita della surriscaldata economia statunitense che continua a mostrare livelli di disoccupazione molto bassi -afferma Vetrella -. Per questi motivi crediamo che la banca centrale statunitense possa raggiungere un picco nel rialzo dei tassi di interesse durante la riunione di settembre per poi cominciare, gradualmente, a ridurre le pressioni sull’economia così da scongiurare una possibile recessione. In conclusione, prevediamo che i tassi possano raggiungere un livello intorno al 4% verso la fine dell’anno con una graduale riduzione dell’intensità dei rialzi che potrebbero diminuire sostanzialmente nel primo trimestre 2023”.
Per Jack Janasiewicz, portfolio manager and portfolio strategist, Natixis Investment Managers, la nota più interessante a margine riguarda la conclusione della forward guidance: l’azione della Fed è ora legata all’andamento dei dati, meeting dopo meeting.
“Si preparano così le premesse per un cambio di rotta dovish? Ecco cosa ha fatto scattare il mercato – sostiene Janasiewicz -. Non essendo prevista alcuna riunione ad agosto, ci sono molti dati da digerire da qui alla riunione di settembre, sempre che Jackson Hole non porti con sé delle sorprese. La dipendenza dai dati ha un duplice significato: se i dati rimangono caldi, la Fed si riserva il diritto di aumentare, se si raffreddano, ha la possibilità di fare marcia indietro. Una svolta dovish, a questo punto, dipenderà proprio dai dati”.
“Dalla conferenza stampa è emersa la continua attenzione all’inflazione e alla forza del mercato del lavoro come i due principali fattori alla base del ritmo di rialzo. Riteniamo che un rallentamento significativo sia già in atto e che inizierà a manifestarsi nei dati concreti delle prossime settimane e mesi”, fa notare Salman Ahmed, global head of macro and strategic asset allocation di Fidelity International, secondo cui però la forza del mercato del lavoro che tiene e l’attenzione della Fed ai dati concreti rendono possibile un altro rialzo di 75 pb nella prossima riunione.
“Il rischio è che la Fed inasprisca la politica troppo rapidamente, rendendo inevitabile un hard landing. Negli ultimi giorni i mercati hanno ridimensionato il livello dei tassi al valore finale di questo ciclo a circa il 3,25% con un profilo più carico di anticipi. Siamo d’accordo con questo assetto attuale, ma riteniamo che nel breve termine sia possibile una nuova ondata restrittiva da parte della Fed, guidata da dati concreti (in ritardo). Considerata la pressione per ridurre visibilmente l’inflazione attraverso la politica monetaria, i segnali contrastanti indicano che il profilo politico a breve termine rimane incerto”, avverte quindi Ahmed.
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