Fed, per i gestori il percorso dei tassi si fa più complicato
Il Fomc resta in modalità ‘wait and see’. Per gli analisti, Powell deve ora bilanciare l'aumento dell'inflazione e i rischi di recessione che sembrano aumentare di pari passo
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Dopo un venerdì di paura, le borse inaugurano la settimana della Fed ancora in tumulto. A spaventare gli investitori, sia le decisioni annunciate dalla Bce il 9 giugno, sulla fine degli acquisti e l’avvio della stretta monetaria, sia lo spettro recessione che si fa sempre più reale. Stando a un sondaggio condotto dal Financial Times, il 40% degli economisti vede ora gli Stati Uniti in recessione già nel primo o secondo trimestre del 2023, mentre per un terzo succederà nella seconda parte del prossimo anno.
Pesa, infatti, oltre al conteso difficile, anche il timore delle ripercussioni sulla crescita di una Federal Reserve ancora più hawkish. Soprattutto dopo i dati peggiori del previsto arrivati venerdì scorso di un’inflazione americana volata a maggio dell’1%, all’8,6%, con l’indice core in crescita dello 0,6%, al 6%.
Se infatti fino alla scorsa settimana si dava per scontato un rialzo dei tassi Usa di mezzo punto, ora sono in tanti a temere che Jerome Powell possa scegliere un ritocco più consistente, 75 punti base. E il mercato prezza un aumento da qui a settembre di 175 punti, che significa due rialzi da 50 e uno da 75 pb. Per questo, gli occhi mercoledì saranno puntati sulla conferenza stampa post meeting del presidente e sul dot plot.
“I dati suggeriscono che la disinflazione dei beni di base e dell’energia è più lenta del previsto e che l’inflazione sugli affitti rimane elevata. Con valori simili, l’idea di un picco inflattivo in estate non sarà messa in discussione, ma il calo dei prezzi dovrebbe essere più lento del previsto e le probabilità che l’inflazione finisca l’anno appena al di sotto del 6% sono ora molto più alte che in precedenza”, osservano gli analisti del team strategie di credito globale di Algebris.
“Di conseguenza, mercoledì la Fed dovrà lanciare un messaggio forte, aggiungendo probabilmente un altro rialzo di 50 pb a settembre e rafforzando la guidance per i rialzi a medio termine – aggiungono gli esperti -. Un ciclo sostenuto negli Usa rende più difficile per le altre banche centrali seguire lo stesso ritmo. La pressione al rialzo sul dollaro, quindi, potrebbe perdurare ancora per un po’. Nel complesso, continuiamo a ritenere che persistano rischi al rialzo per i tassi terminali prezzati dal mercato”.
Inevitabili le ripercussioni per i titoli di Stato su entrambe le sponde dell’Atlantico. In Europa, il Btp a 10 sui mercati telematici ha superato il 4%, aggiornando i massimi dal 2013, con lo spread ben oltre quota 230. Persino il Bund decennale, rifugio durante le tempeste, è salito oltre l’1,5%, livello più alto dall’aprile 2014. Il titolo a due anni è arrivato oltre l’1% per la prima volta da agosto 2011, mentre il tasso del cinque anni è aumentato di 14 punti base, all’1,47%, facendo crollare di 11 punti base il differenziale di rendimento fra i titoli a 30 anni e i quinquennali a 21 punti base. Lo spread 30-5 anni è calato così ai minimi dal 2008, segnalando le attese degli investitori per un ritmo sostenuto di aumenti dei tassi nel breve-medio termine con un impatto crescente sulla crescita di medio-lungo.
Negli Usa, il rendimento dei Treasury è schizzato ai massimi dall’autunno 2018, oltre il 3,2%, mentre quello dei titoli a due anni, i più sensibili al rialzo dei tassi, è balzato di 18 punti base, al 3,25%, il massimo da dicembre 2007. Con una nuova inversione della curva dei rendimenti a due e a 10 anni per la prima volta da aprile. Segnale principe di una recessione in arrivo.
“Il crollo del sentiment dei consumatori, le pressioni sui prezzi inaspettatamente intense e le aspettative un un attivismo della Fed stanno contribuendo a creare un cocktail particolarmente tossico per gli asset rischiosi”, hanno affermato gli strateghi di Rabobank, secondo cui l’inversione della curva dei rendimenti “rispecchia l’idea che la necessità di affrontare le elevate pressioni sui prezzi porterà la Fed a spingere l’economia in recessione”.
Una visione, questa, coerente con le aspettative secondo cui Powell dovrà allentare nuovamente la politica monetaria entro due anni. Il mercato si sta già posizionando infatti prevedendo che la Fed dovrà rispondere al rallentamento incombente con futuri tagli dei tassi, scontando due quarti di punto di allentamento entro la metà del 2024.
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