Private market, bond e gestione attiva: i family office rivoluzionano l’asset allocation
Per l’Ubs Global Family Office Report 2023, tensioni geopolitiche, tassi e inflazione stanno causando nei portafogli “il più grande cambiamento mai registrato”
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Guerra, inflazione e pandemia costano cari ai governi di tutto il mondo. I prestiti sovrani globali sono infatti destinati a raggiungere quest’anno la cifra monstre di 10.400 miliardi di dollari. Oltre un terzo in più rispetto ai livelli pre Covid. La stima arriva da S&P, secondo cui nonostante la ripresa economica, i prestiti si manterranno elevati a causa di una serie di fattori. A cominciare dalla necessità di rifinanziamento, delle sfide di normalizzazione delle politiche fiscali poste dalla pandemia, dell’elevata inflazione e della polarizzazione dello scenario sociale e politico.
Ma a incidere sulle casse degli Stati saranno, ovviamente, anche le ripercussioni macroeconomiche della guerra Russia-Ucraina, che metteranno ulteriore pressioni al rialzo sulle necessità di finanziamento dei governi per quest’anno.
Inoltre, gli analisti dell’agenzia di rating sottolineano come l’inasprimento delle condizioni monetarie causerà un aumento dei costi di finanziamento per i governi. “Ciò creerà ulteriori difficoltà per i Paesi che non sono stati in grado di rilanciare la crescita, di ridurre la propria dipendenza da finanziamenti in valuta estera e che hanno tassi d’interesse già notevolmente elevati”, si legge nel report.
Nel caso delle economie avanzate però, secondo gli esperti S&P è probabile che i costi di finanziamento, seppur in aumento, si mantengano al di sotto del tasso d’interesse effettivo sullo stock di debito esistente. Una dinamica che consentirà a questi Paesi di consolidare i bilanci e di focalizzarsi su riforme volte a favorire la crescita.
Intanto, proprio dai titoli di Stato arrivano per gli investitori i segnali peggiori sui rischi di una recessione globale, in particolare in Europa. A suonare l’allarme è stato qualche giorno fa il rendimento del Treasury biennale, che ha superato quello del decennale. La storia dice che tutte le ultime dieci recessioni degli Stati Uniti sono state precedute da un’inversione della curva.
“A nostro avviso il rischio di recessione è aumentato, in vista di una serie di rialzi dei tassi americani che si prospetta più rapida del previsto e delle ricadute della guerra in Ucraina”, afferma Mark Haefele, chief investment officer di Ubs Global Wealth Management, precisando però che appare ancora evitabile dal momento che l’inversione della curva si inserisce infatti in un quadro di forza dell’economia a stelle e strisce.
“Per la Fed sarà difficile riuscire a orchestrare un atterraggio morbido dell’economia, ma ci è già riuscita nel 1965, nel 1984 e nel 1994. Secondo noi è ancora presto per affermare che questa volta non ci riuscirà. Consigliamo agli investitori di prepararsi ai rialzi dei tassi, evitando però di trascurare per eccesso di prudenza le aree value dei mercati azionari”, avverte dunque Haefele.
Più cauto Lewis Grant, senior global equities portfolio manager per la divisione internazionale di Federated Hermes, stando al quale la brusca inversione di settimana scorsa sull’obbligazionario statunitense, combinata con un’elevata volatilità sulle opzioni del Treasury, rappresenta un vero e proprio monito. “Il rischio di recessione statunitense non dovrebbe essere ignorato. Se i mercati obbligazionari statunitensi stanno mostrando segnali di stress, questo movimento non si riflette sul fronte azionario, laddove il vix rimane contenuto e gli indici statunitensi scambiano al di sopra dei loro livelli pre-conflitto. Il mercato obbligazionario sembrerebbe avere una migliore gestione dei rischi potenziali”, conclude.
Per Thibaut Dorlet, cfa senior fund manager di Candriam, la situazione riflette il focus prevalente dei mercati sulle recenti pressioni inflazionistiche, che hanno portato i Treasury statunitensi a prezzare ulteriori rialzi, mentre le azioni hanno raccolto afflussi positivi poiché forniscono copertura contro l’inflazione. “La guerra attualmente in corso in Ucraina e il peggioramento dell’epidemia di Covid in Cina avranno tuttavia un effetto negativo sulla crescita globale. Un impatto che in questo momento è però ancora molto difficile valutare”, avverte.
“La capacità della Fed di riportare le pressioni inflazionistiche al 2%, assicurando un ‘soft landing’ in questo contesto, sarà fondamentale per i mercati azionari – prosegue Dorlet -. Il periodo di riferimento per la Fed è il 1994, quando questi due obiettivi vennero raggiunti. Tuttavia, con pochissima visibilità sulla crescita globale e sulle pressioni inflazionistiche, il margine di manovra della Fed sembra molto ridotto. Questo ci spinge a mantenere una posizione neutrale sulle azioni globali. Inoltre, in considerazione del recente aumento dei rendimenti a 10 anni, ora vicino al nostro obiettivo di fine anno (2,50% – 2,75%), abbiamo scelto di aggiungere un po’ di duration, in particolare statunitense, ai nostri portafogli”.
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