Titoli di Stato appetibili Ma non troppo
Con lo spread in fibrillazione, si rivedono livelli che creano opportunità d’investimento sui Btp. Occhio, però, alle ulteriori perdite. Gli esperti suggeriscono di tenersi su scadenze brevi
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Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Dic – Gen 2019 |
Non c’è solo la Germania nel club dei Paesi che possono vantare il rating tripla A dalle tre principali agenzie di rating: S&P, Moody’s e Fitch. A fare compagnia a Berlino ci sono anche Svizzera, Canada, Australia, Svezia, Danimarca, Norvegia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Singapore. Con una grande esclusa: gli Stati Uniti, che dal 2011 per S&P valgono un AA+, un gradino più basso della tripla A.
La tripla A è sinonimo di garanzia per chi vuole investire in emissioni obbligazionarie governative. Ma se si vuole andare sul sicuro bisogna dover rinunciare al rendimento. In molti casi, infatti, i titoli decennali offrono rendimenti prossimi allo zero, se non addirittura negativi. Ci sono delle eccezioni, con il compromesso però di doversi assumere un minimo di rischio: quello valutario.
“Nella maggior parte dei casi, le emissioni obbligazionarie dei Paesi che oggi possono vantare la tripla A non offrono rendimenti allettanti – conferma Angelo Drusiani, consulente di Banca Albertini – Anzi, tra ritenute e inflazione, i tassi reali sono quasi sempre negativi. L’unico motivo per investire sulle emissioni con il massimo rating è la ricerca della sicurezza. Ma secondo me ha un senso molto relativo”. Delle eccezioni, però, ci sono. Per esempio in Canada, o ancora in Norvegia, dove i titoli decennali offrono oggi un rendimento di circa il 2 per cento. “Anche gli Stati Uniti (sono tripla A solo per Moody’s e Fitch, ndr) mostrano numeri interessanti sui 10 anni – aggiunge ancora Drusiani – Chi investe in questi Paesi, però, deve fare molta attenzione al rapporto di cambio”. Quello del forex è un mercato molto volatile che può compromettere il buon esito dell’investimento. “Pensiamo al 2003 – ricorda ancora il consulente di Banca Albertini – quando in un solo anno il dollaro perse nei confronti dell’euro più del 20%”. Insomma, per investire in una valuta diversa dalla moneta unica occorre una buona propensione al rischio. Le oscillazioni dei rapporti di cambio possono assumere valori molto importanti in alcuni casi. “E poi – sottolinea – Drusiani – per avere un buon ritorno reddituale dai Paesi tripla A bisognerebbe investire almeno un 20-25% del proprio portafoglio. Una percentuale troppo elevata se non ci si copre dal rischio di cambio”.
Un quadro che ci fa capire quanto sia difficile trovare rendimento per chi ha una scarsa propensione al rischio. “Dovendo azzardare, personalmente mi orienterei sul dollaro americano e quindi sui Treasury – continua Drusiani – Aspetterei però prima di rivedere il cambio euro/dollaro intorno a quota 1,15. Anche l’Australia è un’area interessante, ma al tempo stesso una realtà troppo lontana e difficile da valutare”.
Con un minimo di “azzardo” in più, invece, si potrebbe guardare ad altre aree, diverse dalla tripla A. Come l’Italia, dove il Btp a 10 anni oggi offre un rendimento addirittura del 3,49 per cento. Certo, il contesto attuale non è “propositivo” per il Paese. Ma ci sono anche elementi che potrebbero supportare il nostro Btp. Come i Cir (Conti individuali di risparmio), che dovrebbero trovare spazio nella Legge di Bilancio. “Sì, è vero, potrebbe essere un driver importante – conclude Drusiani – Ma chi investe nell’Italia deve essere consapevole del rischio che corre. Siamo uno Stato precario, ancora fermo ai livelli del 2011. Quello che può accadere nei prossimi mesi è assolutamente imponderabile”.