5 min
Il comfort food non regge alla pandemia. Crollano i prezzi degli avocado e rallentano le vendite di cioccolata. Ma, nel medio termine il trend può invertire rotta
Il Covid mette a dieta il comfort food anche se healthy. Nell’anno della pandemia, nonostante i lockdown diffusi e ripetuti, i consumatori hanno cercato meno conforto del previsto in cucina. Sono infatti rallentate le vendite di cioccolato e letteralmente crollati i prezzi degli avocado. Ma, nonostante gli ultimi dati possano indurre a riflessioni, il trend potrebbe quanto prima invertire la rotta. Le prospettive nel medio termine sono in teoria rosee, meglio quindi alzare la soglia di attenzione su questi mercati minori e golosi che potrebbero riservare opportunità interessanti.
Il mercato degli avocado vale all’incirca 13 miliardi di dollari, con Cina e Usa a fare la parte del leone, senza considerare l’indotto che moltiplica esponenzialmente il valore del mercato stesso. In merito si consideri che, secondo uno studio della Texas A&M University, le sole importazioni Usa dal Messico rappresentano per l’economia americana un impatto di 4 miliardi di dollari sul Pil, dagli 1,2 miliardi nel 2012, un giro d’affari di 6,5 miliardi, quattro volte il dato del 2012 e oltre 33mila posti di lavoro.
Negli ultimi ventisei anni, da quando nel 1994 sono stati eliminati i divieti alle esportazioni messicane, il frutto ha registrato un vero boom: +600% con una crescita media annua del 10 per cento. Guacamole e avocado toast sono diventati quasi iconici per i Millennial. E, secondo gli esperti di Research & Market, il tasso di crescita dovrebbe proseguire anche nei prossimi anni con una media prevista fino al 2026 del 5,8% all’anno. A sostenere la crescita dell’oro verde messicano sono diversi fattori tra cui lo sviluppo della domanda in ambito farmaceutico e cosmetico, lo stile di vita più sano ricercato da fasce sempre più ampie della popolazione e la crescita della popolazione mondiale nei Paesi a maggiore consumo di avocado, iniziando proprio dal Messico. Senza considerare che lo spazio di crescita è ancora enorme se si considera che gli Stati Uniti, da cui provengono i tre quarti delle diete e delle mode alimentari, hanno un consumo annuo pro capite di avocado stimato agli esperti in 8 pound (libbre, poco meno di 4 chili), la metà del consumo pro capite messicano ma anche quattro volte quello di europei e asiatici (2 pound all’anno) che, a loro volta, si trovano sullo stesso livello dei consumi americani di vent’anni fa. Per questo, nonostante il -24% registrato dai prezzi dell’oro verde messicano negli ultimi tre mesi del 2020, le prospettive in questo ambito sono tutt’altro che funeste.
In Borsa le società attive nella produzione e distribuzione dei frutti si contano su una sola mano. A iniziare Mission Produce fresca di debutto a Wall Street dove ha scelto un ticker più che indicato: Avo. Mission Produce è stata collocata sul mercato lo scorso ottobre a 12 dollari per azione (per una raccolta netta complessiva di 78,1 milioni). L’ad Stephan Barnad nell’occasione si era detto ottimista sullo sviluppo globale del business anche in tempi di pandemia. E in effetti, nonostante dati trimestrali tutt’altro che entusiasmanti con un fatturato in calo dell’11% a 206,8 milioni, un margine operativo lordo di 32,1 milioni (da 36,8 milioni) e un utile netto di 18,8 milioni (da 23,9), il titolo continua salire e si attesta vicino ai 20 dollari. Il mercato ha infatti preferito guardare all’orizzonte nel medio termine e concentrarsi sui volumi di vendita aumentati del 16% a fronte di un taglio del 24% dei prezzi rispetto al 2019.
Tra le società quotate ben posizionate nel business dell’oro verde messicano c’è anche la californiana Calavo Growers che imputa la contrazione dei margini registrata nel trimestre “alla chiusura degli spacci di prodotti orto – fruttiferi in grado in assorbile l’eventuale sovrapproduzione”. In cinque anni il titolo ha guadagnato oltre il 60 per cento. Da tenere d’occhio anche l’australiana Costa Group, società fondata nel 1888 e attiva nel settore orto fruttifero (avocado compresi) che nel 2020 ha registrato un rialzo del 53 per cento. In controtendenza Del Monte Produce che, quotata a Wall Street ma con sede legale alle Cayman, nei cinque anni ha dimezzato il proprio prezzo di mercato.
Notizie contrastanti anche sul fronte di un’altra eccellenza del nuovo mondo, il cacao. Lo stesso Choccosuisse ha certificato che il Covid ha penalizzato il cioccolato svizzero: nei primi otto mesi del 2020 il giro d’affari è calato del 14,3% sia a causa del rallentamento della domanda interna che all’export. Diverse società attive nella produzione di cioccolata hanno registrato negli ultimi mesi un calo delle vendite anche se, nel medio termine, rimangono ottimiste sulla futura crescita del settore. A iniziare da Barry Callebaut, il maggiore produttore di cioccolato al mondo che, tra settembre e novembre, ha registrato una contrazione dei volumi di vendita del 4% su base annua e un calo del fatturato dell’11% a 1,8 miliardi di franchi (-3,8% se in valute locali). Dati inferiori alle attese degli analisti. Antoine de Saint-Affrique, numero uno del gruppo ha tuttavia previsto per il triennio 2022-2023 una crescita media annua del 5-7% delle vendite e un utile operativo in miglioramento a un ritmo ancora maggiore. Il 2020 non è stato dei migliori neppure per Lindt & Sprüngli che ha chiuso l’esercizio con un fatturato in calo del 10,9% a 4,02 miliardi di franchi (-6,2% esclusi gli effetti valutari), un dato peggiore rispetto a quanto previsto dagli analisti. Lindt, che pubblicherà i suoi risultati dettagliati, utile compreso, il prossimo 2 marzo, rimane fiduciosa per il futuro, confermando i suoi obiettivi a medio termine compresa l’attesa crescita organica annuale del fatturato situata fra il 5 e il 7 per cento.
Non manca poi chi scommette su un futuro in cui il cioccolato inizierà a scarseggiare diventando un bene sempre più di lusso. Secondo alcuni studi di settore, tra cui il testo di Virginie Raisson “2038 Atlante sui futuri del mondo”, l’aumento esponenziale della domanda (solo in Cina il consumo medio di cacao pro-capite è aumentato del 75% tra il 2010 e il 2014), il cambiamento climatico e le malattie che colpiscono le piante di cacao potrebbero incidere sulla disponibilità di materia prima. Entro i prossimi diciassette anni quindi la domanda in continua crescita di cacao potrebbe non essere più soddisfatta dall’offerta rendendo il cioccolato di qualità un bene di lusso. Al momento i future sul cacao (ICE US Cocoa) si mantengono viaggiano intorno ai 2600 dollari per tonnellata dopo essere scesi a luglio a 2125 e risaliti a novembre a 2785 dollari. Nitesh Shah direttore della ricerca di WisdomTree in un report di qualche settimana fa per il 2021 prevedeva due scenari alternativi per il cacao, uno dolce e uno amaro. In uno scenario rialzista “il contratto ICE US Cocoa del marzo 2021 potrebbe incontrare lo stesso vento favorevole generato dagli acquisti commerciali che spingono i prezzi verso l’alto man mano che ci avviciniamo alla scadenza. Con la consegna dei contratti di dicembre 2020, le scorte si riducono ulteriormente, aiutando i prezzi di marzo 2021 ad avvicinarsi a quelli del Ghana e della Costa d’Avorio. La notizia di potenziali vaccini per Covid19 potrebbe far aumentare la domanda di cacao nel prossimo anno”. Al contrario, secondo Shah, in uno scenario ribassista “la domanda di cacao è ancora debole e potrebbe richiedere un certo tempo per essere ricostituita. Viviamo in un’era di consumatori socialmente consapevoli. Un contraccolpo dei consumatori potrebbe convincere gli acquirenti di cacao a non ritirare il cacao a New York invece di acquistarlo direttamente dall’Africa occidentale?”.