Lo stop cinese pesa sui mercati internazionali
Tra performance deludenti e restrizioni anti Covid, è scattato il fuggi fuggi dai titoli del Dragone. Ma per i gestori, dai bond all’energia pulita, le occasioni non mancano
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La politica zero-Covid rischia di costare cara a Pechino. Dopo giorni di timori sui mercati per i duri lockdown imposti in numerose città, a quantificare il prezzo della nuova ondata pandemica ci hanno pensato gli analisti di Fitch, che hanno tagliato le stime sul Pil 2022 della Cina al 4,3%, dal precedente 4,8%. Colpa appunto delle ferree restrizioni per il contenimento dei contagi, che hanno creato problemi alla produzione e alla supply chain con un impatto atteso nei primi due trimestri dell’anno.
L’agenzia di rating ha invece ritoccato al rialzo le previsioni sul 2023, portando la crescita attesa al 5,2% dal 5,1%, in previsione di un graduale abbandono della politica ‘zero Covid’ nel corso del prossimo anno.
L’attesa è dunque di una contrazione del Pil tra il primo e il secondo trimestre, prima che l’economia inizi a risalire nella seconda metà dell’anno. Il governo cinese ha annunciato agli inizi di marzo un target 2022 di circa il 5,5%, obiettivo che ora per gli esperti di Fitch “sembra improbabile possa essere raggiunto”.
Pechino ha anche detto di voler rafforzare il sostegno alle politiche macro. Di qui, gli esperti prevedono un’accelerazione degli investimenti in infrastrutture nei prossimi trimestri e “un ulteriore taglio del tasso di riserva obbligatoria e del tasso di policy sulle linee di credito a medio termine”. Tuttavia, avvertono, “è probabile che gli aggiustamenti siano modesti sullo sfondo dell’inasprimento della politica monetaria da parte di altre importanti banche centrali e della cautela delle autorità cinesi che l’aumento dei differenziali dei tassi di interesse potrebbe innescare pressioni sul deflusso di capitali”.
“La Cina continua a seguire una strategia zero-Covid che, secondo gli investitori, rischia di pesare sull’economia aggravando lo stress delle catene di fornitura globali”, sottolinea Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs Wm in Italia, che vede tre grandi sfide attualmente per i mercati: la guerra Russia-Ucraina, l’impennata dell’inflazione e, appunto, i lockdown cinesi.
“La Cina è meno interessata dal conflitto in corso e ha una politica monetaria disallineata rispetto alla nostra – spiega Ramenghi-. Siamo tatticamente neutrali su questo mercato per via del rischio economico implicito nella strategia zero-Covid, ma strategicamente l’azionario cinese può contribuire a una migliore diversificazione del portafoglio, anche considerando la dimensione della sua economia”.
Anche per gli esperti del team strategie di credito globale di Algebris, la stretta anti-Covid rischia di fermare il Dragone. ”Le vendite al dettaglio e gli indicatori dell’occupazione sono crollati in modo massiccio in marzo e i Pmi continuano a sorprendere al ribasso. Il settore dei servizi risulta particolarmente colpito: domenica, i Pmi non manifatturieri per aprile si sono mossi in pieno territorio recessivo, nonostante ci si aspettassero solo ‘livelli di rallentamento moderati’”, evidenziano gli analisti, osservando che quindi i segnali di un sostegno della politica monetaria potrebbero essere più forti, soprattutto perché l’obiettivo delle autorità del 5,5% per l’anno è ormai chiaramente superato.
“Un lockdown prolungato potrebbe pesare sui dati del secondo trimestre, dato che quelli del primo trimestre hanno retto decentemente grazie alle buone performance di gennaio e febbraio. Riteniamo che le preoccupazioni su un rallentamento della Cina siano più sensate di quelle sull’Europa e rimaniamo cauti sullo yuan cinese e sulle valute regionali”, concludono da Algebris.
Positivo sull’azionario cinese nel breve termine è Thibaut Dorlet, Cfa senior fund manager di Candriam. “Finora, le indicazioni del mercato sul prossimo futuro sono relativamente positive – spiega -. Prevediamo che i casi di Covid diminuiscano, man mano che il clima diventerà più caldo e le misure di lockdown si attenueranno. Con gli stimoli fiscali e monetari che hanno già contribuito a spingere il Pil del primo trimestre al di sopra delle aspettative, le autorità dovrebbero accelerare le misure di allentamento, per attenuare gli effetti del lockdown”.
“Gli investitori hanno ridotto l’esposizione al mercato cinese e il posizionamento short sulle azioni cinesi risulta tra le operazioni più eseguite – prosegue Dorlet -. Il sentiment degli investitori resta su livelli relativamente bassi, con valutazioni vicine ai minimi raggiunti durante la crisi del Covid. Inoltre, anche se il governo cinese continua a puntare su una crescita del Pil pari al 5,5% per il 2022, le previsioni di mercato sono state costantemente riviste, attestandosi al 4,9%, a dimostrazione di quanto sia scarsa la fiducia in Cina nel raggiungimento dell’obiettivo ufficiale. Ci aspettiamo ulteriori revisioni negative di tali previsioni, fino a quando la situazione del Covid non si sarà stabilizzata. Tuttavia, poiché il 20° Congresso del Partito Comunista si terrà nel secondo trimestre del 2022, Xi Jinping potrebbe presto accelerare il sostegno fiscale e monetario, per garantire la sua rielezione”.
Dunque, per l’esperto Candriam, in un contesto globale difficile per i risky assets, nei prossimi mesi le azioni cinesi potrebbero sovraperformare le azioni globali, poiché molto dovrebbe essere già nei prezzi. “Il flusso di notizie positive, insieme all’allentamento delle politiche monetarie e alle condizioni di credito incoraggianti, potrebbero sostenere le azioni cinesi, a differenza di altre regioni in cui le condizioni finanziarie sono state inasprite, come Stati Uniti ed Europa. Inoltre, anche la fine delle misure di lockdown dovrebbe rappresentare un fattore positivo”, chiarisce.
“Tuttavia – avverte Dorlet – sul lungo termine, le azioni cinesi potrebbero trovarsi in difficoltà strutturali, a causa del processo di ‘de-globalizzazione’, che si è accelerato a seguito della pandemia e della guerra in Ucraina. Inoltre, la posizione della Cina nei confronti della Russia potrebbe danneggiare le relazioni con le economie occidentali e, in ultima analisi, la bilancia commerciale”.
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