La rincorsa del dollaro? Avrà breve durata. I gestori: “La debolezza del biglietto verde è strutturale”
10 maggio 2018
di Eugenio Montesano
4,30 min
Aumenta il numero di analisti che si aspettano un ulteriore recupero della valuta Usa. Fin dove rimbalzerà il dollaro? C’è un’inversione in atto? E quali sono le conseguenze del rafforzamento? La chiave di lettura di lungo termine dei gestori.
Il dollaro è un catalizzatore dell’attenzione degli investitori, dato il ruolo chiave che svolge nei mercati finanziari e nel commercio globale. Dopo un prolungato periodo di deprezzamento – nel 2017 l’euro ha guadagnato il 14% sulla valuta USA, complici i timori circa la politica commerciale e fiscale degli Stati Uniti, fattori che hanno contribuito a ridurre la domanda sia della valuta che dei buoni del Tesoro americano – il biglietto verde ha ripreso a correre.
Le ultime settimane si sono infatti caratterizzate per un deciso apprezzamento del dollaro sia rispetto all’euro (nel giro di poche settimane il cambio è passato da 1,23 a meno di 1,20) che rispetto alla maggior parte delle valute emergenti.
Il colpo di coda del dollaro è un movimento di breve o indica una tendenza più duratura? Il punto di vista dei gestori, necessariamente di lungo termine, non lascia spazio a grandi euforie. Il disimpegno deliberato degli USA sul piano economico e geopolitico – dal Partenariato Trans-Pacifico all’accordo internazionale sul clima passando dalle minacce sull’accordo di libero scambio nord-americano e sull’uscita dall’accordo sul nucleare iraniano – rischia di erodere lo status del dollaro a livello globale.
Questo indebolimento, sottolineano i gestori, è assolutamente compatibile con le priorità economiche dell’amministrazione Trump che potrebbe puntare su una valuta più debole per alleviare il tanto declamato “problema” del saldo estero, fortemente negativo.
Fiammata di breve, ma le pressioni ribassiste continueranno
Per Salman Ahmed, direttore investimenti di Lombard Odier IM e i suoi colleghi Charles St-Arnaud e Jamie Salt un ulteriore indebolimento tendenziale del dollaro appare una prospettiva razionale.
Salman Ahmed, direttore investimenti di Lombard Odier IM
Con l’affievolirsi dei timori degli investitori e in virtù di una crescita economica degli Stati Uniti di nuovo superiore a quella di altri paesi, potremmo assistere ad una ripresa della domanda per la valuta e i titoli di stato americani. Inoltre, qualsiasi apprezzamento del dollaro potrebbe essere amplificato da una riduzione delle posizioni short sulla divisa.
Charles St-Arnaud
Nel medio termine, riteniamo che i timori relativi alla politica fiscale espansiva americana, uniti all’aumento delle emissioni di titoli del Tesoro, continueranno a esercitare pressioni ribassiste sul dollaro. Saremmo inoltre sorpresi nel vedere l’amministrazione statunitense consentire il costante apprezzamento della valuta.
Jamie Salt
Nel breve termine, per un investitore non-USA il rafforzamento della valuta americana andrebbe a vantaggio degli asset denominati in dollari, come ad esempio le materie prime, e potrebbe anche apportare benefici alle azioni europee. Potrebbe invece avere un effetto negativo per le obbligazioni e le azioni dei mercati emergenti in valuta locale. L’entità dell’impatto dipenderà principalmente da quella dell’apprezzamento del dollaro rispetto alla valuta locale pertinente. Gli investitori dovrebbero quindi fare attenzione a questi fattori.
La debolezza del biglietto verde è endemica
Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy, è convinto dell’improbabilità che la Fed possa attuare i 3 o 4 rialzi dei tassi prospettati per il 2018. “L’economia Usa non li reggerebbe”.
Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy
La debolezza del dollaro è appena agli inizi e peserà sulla crescita europea. Il Pil statunitense nel primo trimestre si preannuncia piuttosto debole, con una crescita che si posiziona tra l’1,5% e l’1,8% annualizzata. L’Europa cresce attualmente più degli Stati Uniti senza aver implementato alcuna politica fiscale espansiva. Questa dinamica dipende dal contesto esterno più che da politiche economiche europee ed è dunque lecito attendersi che il rallentamento Usa avrà ripercussioni anche sulla crescita in Europa.
A fronte di dati macroeconomici deludenti che usciranno nei prossimi mesi, si aggiungono le correzioni in corso sui mercati azionari. Il dollaro debole continuerà a pesare sui listini europei, dove gli investitori negli ultimi due anni hanno concentrato le loro posizioni lunghe. Intanto, anche i mercati americani hanno iniziato a cedere sotto le prospettive di una Fed più aggressiva di quanto si pensava.
Credo che la Fed non potrà realizzare l’intenzione di alzare i tassi 3 o 4 volte quest’anno, semplicemente perché l’economia Usa non li reggerà a causa del forte indebitamento del sistema. Penso piuttosto che l’intento di queste dichiarazioni restrittive sia quello di frenare la bolla speculativa sull’equity.
Le attese di rilancio dell’economia attraverso un piano fiscale troppo concentrato sulle aziende e poco orientato a sostenere i consumatori avrà un impatto modesto. Gli Stati Uniti si ritroveranno con molto più debito, tassi più alti, un dollaro debole e senza la crescita sperata. In questo contesto, nella nostra allocazione di portafoglio manteniamo invariate le nostre posizioni short di dollaro contro euro e yen, confermiamo la view negativa sui mercati azionari europei, con l’aggiunta di posizioni short su Toronto e UK.
Mercati nervosi su dollaro con riflessi negativi sugli emergenti
L’outlook di Paul Flood, gestore multi-asset di Newton (gruppo BNY Mellon) sul dollaro, con un occhio al recente andamento dei mercati finanziari. Innervositi da un rafforzamento che mette pressione ai detentori di debito.
Paul Flood, gestore multi-asset di Newton (gruppo BNY Mellon)
Il rafforzamento del dollaro USA e l’aumento dei rendimenti delle obbligazioni continuano a innervosire gli investitori, perché causano un aumento del costo di rifinanziamento del debito denominato in biglietti verdi. L’S&P 500 è brevemente sceso al di sotto della media mobile a 200 giorni, per poi riprendersi e chiudere al di sopra di questa importante barriera tecnica, suggerendo un futuro rimbalzo dell’indice.
I fondi obbligazionari emergenti stanno registrando deflussi a fronte della preoccupazione degli investitori circa l’aumento dei costi dei finanziamenti denominati in dollari USA; i junk bond cinesi, in particolare, hanno registrato la più grande fuga dell’ultima decade. Proprio questo scenario, però, sta creando a nostro avviso delle occasioni di caccia interessanti per gli investitori più astuti.
Riteniamo improbabile un forte aumento dei payroll (non agricoli), alla luce dei dati deboli dell’ISM e dell’indice dell’attività non-manifatturiera. Un aumento inatteso potrebbe determinare una fase di ribassi per i mercati obbligazionari, perché cambierebbe le aspettative dei mercati sul ritmo degli aumenti dei tassi di interesse da parte della Fed.
Come ampiamente previsto, il presidente della Fed Jerome Powell – alla seconda riunione del 2018 – lascia i tassi all'1,5-1,75%. Occhi puntati sulla riunione del 13 giugno, ma secondo i fund manager l’inversione di tendenza fa già capolino nei mercati.
“Il semaforo è ancora verde”, spiega il capo del multi asset globale del gestore londinese, “ma le alte valutazioni pongono un limite di velocità ai ritorni e ci hanno indotto a scalare una marcia nelle nostre strategie”.
In che modo può aggiungere valore al portafoglio la scelta delle gestioni attive? L’analisi della vice direttrice globale degli investimenti di State Street Global Advisors.
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