Medio Oriente, il fondo sovrano norvegese pronto a uscire dalle aziende che armano Israele
Dopo la sentenza dell’Aja, il Comitato etico chiede alla Norges Bank di ampliare le esclusioni. E nel mirino potrebbero finire alcuni produttori Usa
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A inizio 2022 i manager di Norges Bank Im avevano avvisato: impossibile replicare le performance record messe a segno nel 2021, chiuso con rendimenti in crescita del 14,5% pari a 1.580 miliardi di corone norvegesi, circa 158,5 miliardi di euro. Solo che una débacle così non era nelle previsioni. A fine giugno il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo, si era infatti già rimangiato i guadagni dell’anno precedente, bruciando circa 170 miliardi di euro, e ora ha annunciato di aver terminato il terzo trimestre con un ulteriore pesante rosso: circa 44 miliardi di euro.
Le pessime performance dei mercati, dovute al difficile contesto internazionale, hanno insomma presentato il conto anche a uno dei maggiori investitori del mondo. Alimentato dalle rendite petrolifere della Norvegia e gestito dalla banca centrale, il fondo detiene infatti l’equivalente dell’1,5% della capitalizzazione di mercato globale, possiede azioni in 9.400 società in 70 Paesi e alla fine di settembre valeva 12.216 miliardi di corone, pari a 1.188 miliardi di euro. La stessa valutazione dell’economia messicana, la 16esima al mondo.
“Il terzo trimestre è stato caratterizzato da tassi di interesse in crescita, alta inflazione e dalla guerra in Europa. Questo ha anche influenzato i mercati. Il rendimento è stato negativo per le azioni, il reddito fisso e il real estate non quotato”, si è giustificato Trond Grande, deputy ceo di Norges Bank Investment Management, che solo un mese fa ha annunciato che decarbonizzerà completamente tutte le partecipazioni.
Nel dettaglio, il fondo norvegese ha registrato un rendimento negativo del 4,4% nel periodo luglio-settembre, per una perdita complessiva di 449 miliardi di corone, pari a 43,6 miliardi di euro. Ad alimentare il rosso è stata appunto sia la componente azionaria, che vale il 68,3% del portafoglio, i cui rendimenti hanno fatto segnare -4,8%, sia quella obbligazionaria, che rappresenta il 28,5% del patrimonio e ha segnato -3,9%, sia gli investimenti nell’immobiliare, pari al 3,1% del totale, in calo dell’1,1%.
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