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Negli ultimi anni è stato molto difficile trovare rendimenti nel reddito fisso, ma oggi con gli interventi aggressivi delle Banche centrali per contrastare l’inflazione lo scenario sta rapidamente cambiando. Ne discutiamo con due esperti di Anima Sgr e Unicredit
A dieci anni della celebre frase di Mario Draghi “Whatever it takes” che diede inizio alla stagione dell’allentamento quantitativo anche nel Vecchio Continente, ci troviamo in una fase nuova, di frattura rispetto al decennio precedente.
“Gli italiani storicamente hanno sempre avuto predilezione per l’obbligazionario; ciò che è cambiato in questi dieci anni è la componente di bond corporate, cresciuta in seguito alla discesa dei rendimenti e al conseguente aumento dell’offerta da parte degli emittenti”, sostiene Manuela D’Onofrio, Head of Group Investment Strategy di UniCredit.
Il “Whatever it takes” visto dai mercati
“Il periodo della crisi dei crediti sovrani fu molto difficile per i gestori obbligazionari dell’area euro e in particolare per quelli italiani, che avevano la maggiore esposizione sul debito domestico, pubblico e privato. Con il debito pubblico più alto fra i Paesi Europei, l’Italia era al centro del ciclone”, afferma Gianluca Ferretti, Responsabile Reddito Fisso e Valute, Anima Sgr.
“Spesso i momenti di svolta si riconoscono con il senno di poi, e non mentre li si vive – spiega – ma il “whatever it takes”, però, sembrò da subito un passaggio chiave nell’evoluzione di quella crisi”.
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Scenario inedito
Più di dieci anni fa parlare di tassi e rendimenti negativi per i tassi ufficiali di sconto delle Banche centrali e per i titoli obbligazionari governativi veniva considerato un esercizio puramente teorico, da manuali universitari. Dalla Crisi del 2008, però, le azioni di tutte le banche centrali dei Paesi sviluppati, dal Giappone agli Stati Uniti che per primi introdussero misure di Quantitative easing portarono a uno scenario mai verificatosi prima nella storia della finanza moderna. Secondo Bloomberg, a fine 2021 le obbligazioni con rendimenti sotto lo zero aveva toccato il record storico di 18mila miliardi di dollari per 4.500 emissioni.
Oggi la politica portata avanti dall’attuale presidente Christine Lagarde rappresenta una cesura netta rispetto al passato. “Fra i due momenti, trovo molte più differenze che analogie. Oggi come allora, i rendimenti della periferia dell’Eurozona, e dell’Italia in particolare, si sono allargati rispetto a quelli core. Le differenze, tuttavia, sono molte: dieci anni fa dovevamo fare i conti con una crescita anemica, tassi che tendevano a zero e Banche centrali preoccupate per la deflazione; adesso ci troviamo in presenza dell’inflazione più alta degli ultimi 40 anni, di un rallentamento della crescita (pur forte nel passato recente) e di una risalita dei tassi. Oggi lo spread aumenta perché gli investitori, in un contesto più difficile, chiedono un premio di rendimento maggiore per detenere titoli con rating inferiori. Ma non dimentichiamo che, anche se nel primo semestre del 2022 i Bund hanno perso l’11%, nessuno dubita della capacità della Germania di onorare i propri debiti: oggi lo scenario dei tassi è cambiato”, analizza Ferretti.
Mentre negli ultimi anni è stato molto difficile trovare yield nel reddito fisso, oggi i rendimenti sono in territorio positivo, almeno in termini nominali, e a livelli che non si vedevano da anni.
“Per quanto riguarda la politica monetaria siamo entrati in una nuova fase, caratterizata dal rialzo dei tassi e dalla riduzione degli acquisti di titoli da parte della BCE, in cui finalmente le obbligazioni verranno prezzate in modo più naturale, poiché saranno meno condizionate dalla domanda della banca centrale”, chiarisce D’Onofrio.
“Un paio di esempi rendono bene l’idea di quanto è cambiato lo scenario: nel 2020 l’Austria ha emesso un titolo centennale con cedola dello 0,85%. Dopo un massimo a 139, qualche settimana fa quotava intorno a 40. Un discorso analogo, però, vale anche per i titoli di Stato a 10 anni dell’Italia, i cui rendimenti sono saliti di quasi 300 punti base dai minimi del 2021. Oggi i rendimenti sono più vicini ai livelli di 10 anni fa che alla media degli ultimi tre o cinque anni. Lo scenario, tuttavia, è quasi diametralmente opposto: se nel 2012, in un contesto di tassi in discesa, i timori erano rivolti ai rischi di deflazione e alla coesione politica dell’Unione Europea, oggi le sfide principali sono poste dall’inflazione e dalla risalita dei tassi, mentre i pericoli per la sopravvivenza della UE sembrano molto lontani. Le banche centrali sono state grandi protagoniste dei mercati finanziari, e, per quanto riguarda gli asset obbligazionari, non hanno esitato a intervenire direttamente sul mercato. Ritengo che in parte possano mantenere un ruolo attivo anche nei prossimi anni, ma in una vesta diversa e con strategie ancora parzialmente da definire, se non proprio da creare ex novo”, spiega il gestore di Anima.
Lo scenario futuro
Mentre nel 2021 i portafogli sono stati caratterizzati da una duration bassa, da una esposizione quasi nulla ai titoli governativi, soprattutto dell’area core, e da una componente importante di liquidità; la ricerca di rendimenti passava soprattutto dai titoli corporate, anche subordinati o ibridi, dove il regolamento lo permette.
“Nel 2022 invece, abbiamo progressivamente investito la liquidità in titoli di Stato, sia periferici che core, accompagnando la salita dei rendimenti, e allungato la duration di portafoglio. Nel complesso, grazie alla salita dei rendimenti, oggi troviamo valore in diverse aree di mercato” dice Ferretti, che aggiunge: “In generale, sui mercati obbligazionari oggi i rischi (sia di credito che di tasso) sono remunerati molto meglio che in passato e il ventaglio di opzioni di investimento è più ampio. In area euro, i governativi core sono tornati ad essere “investibili” dopo anni di rendimenti negativi o comunque troppo bassi. L’Italia, per quanto non si possa escludere più volatilità nel breve termine, legata all’instabilità politica e una maggiore fragilità di fronte ad un peggioramento dello scenario macro, offre spread interessanti. Sui corporate, ci sposteremo tendenzialmente verso emittenti di qualità superiore rispetto al passato”, conclude il gestore.
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“Conoscere a fondo” è la rubrica di FocusRisparmio.com in cui passiamo al setaccio una specifica asset class su un orizzonte di investimento di medio-lungo periodo, coinvolgendo i gestori dei fondi top performer in un’analisi a più voci sui driver di performance e sulle prospettive di rendimento dei prossimi mesi.
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