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Come atteso, i prezzi al consumo negli Usa sono scesi per il sesto mese consecutivo al+6,5%. Ancora in crescita il dato core. Ora i gestori vedono un aumento di (soli) 25 punti base a febbraio
Un altro spiraglio per i mercati. A dicembre, per il sesto mese consecutivo, l’inflazione Usa ha segnato un lieve calo mensile, rispettando perfettamente le attese degli analisti. Di qui la speranza degli investitori che la Fed possa allentare il ritmo della stretta monetaria già nella prossima riunione, dal momento che il peggio dell’inflazione sembrerebbe essere ormai alle spalle.
Anche se in rallentamento, però, i prezzi si mantengono alti, ben distanti dall’obiettivo del 2% della banca centrale, e soprattutto mostrano un’inflazione core ancora in crescita, mentre il mercato del lavoro si conferma forte. Tutti motivi che spingono qualcuno a non credere troppo in un Fomc meno aggressivo.
L’indice Cpi a dicembre è salito del 6,5%, in linea con il consensus e ai minimi dall’ottobre 2021, in decisa frenata rispetto al 7,1% di novembre, al +7,7% di ottobre, al +8,2% di settembre e, soprattutto, rispetto al picco del 9,1% toccato in giugno. Su base mensile, i prezzi sono calati dello 0,1%, sempre come da stime. Il dato “core”, quello depurato dalla componente dei prezzi alimentari ed energetici e sorvegliato speciale della Fed, è salito dello 0,3%, anche qui in linea con le attese. Su base annuale, è invece cresciuto del 5,7%, dopo il +6% di novembre.
“Sono tre le ragioni per cui l’inflazione statunitense sta rallentando”, spiega Samy Chaar, Chief economist di Lombard Odier. “L’aumento dei tassi d’interesse si ripercuote sull’economia, in particolare indebolendo la domanda di abitazioni. Questo porta a una contrazione degli investimenti residenziali”, afferma Chaar sul primo motivo, proseguendo poi facendo notare come le catene di approvvigionamento stiano migliorando. “La riapertura della Cina, le consegne più rapide da parte dei fornitori (l’indice di consegna dei fornitori è salito al livello più alto da gennaio 2020) e la crescita delle scorte sono tutti elementi che indicano un miglioramento delle condizioni dell’offerta”. “I costi dell’energia sono in calo”, conclude, segnalando quest’ultimo come il fattore chiave.
Reazioni e commenti
La reazione dei mercati non si è fatta attendere. Subito dopo la pubblicazione dei dati del Bureau of Labour Statistics, l’euro è avanzato sul dollaro, i listini Ue hanno accelerato e i rendimenti dei titoli di Stato del Vecchio Continente sono calati. Più cauta Wall Street dove, complice il dato core, i future hanno virato al ribasso, salvo poi ritrovare il segno più.
Netto invece il verdetto dei future legati all’andamento della politica monetaria della Fed, che dopo il dato di dicembre segnalano un 100% di chance di un rialzo del costo del denaro dello 0,25% alla prossima riunione.
“Il rapporto odierno”, analizza Tiffany Wilding, North American economist di Pimco, “dovrebbe essere sufficiente per indurre la Fed a ridurre l’andamento dei rialzi dei tassi a 25 punti base nel meeting di inizio febbraio”. “Dal nostro punto di vista”, prosegue, “i dati sull’inflazione e sul mercato del lavoro si modereranno/indeboliranno a sufficienza da spingere la Fed a fare una pausa prima della riunione di maggio e riteniamo che il rapporto di oggi sia coerente con questa visione”. “Ciononostante, i funzionari della Fed sembrano prevedere rialzi fino a maggio per portare il tasso sui Fed Funds appena sopra il 5%”, completa.
Posizione condivisa anche da Filippo Diodovich, senior market strategist di Ig Italia, secondo cui i numeri, seppure in linea con le attese, rafforzano l’ipotesi di un Powell meno falco. “I dati – sottolinea -confermano un rallentamento delle pressioni inflazionistiche soprattutto legato alla forte flessione dei prezzi degli energetici (-4,5% a/a). I prezzi core rimangono ancora elevati (+5,7% a/a, +0,3% m/m) e lasciano intendere che la Federal Reserve continuerà con una politica di rialzo del costo del denaro ma sarà meno restrittiva rispetto ai mesi precedenti”.
“Crediamo che il Fomc nella prossima riunione deciderà per un incremento del costo del denaro di ‘soli’ 25 punti base, portando i tassi di riferimento dal range 4,25%-4,50% al nuovo 4,50%-4,75%. I mercati hanno evidenziato una reazione significativa soprattutto su quello valutario dove abbiamo assistito a una discesa delle quotazioni del dollaro (aumento di probabilità che la Fed sarà meno hawkish nel meeting di febbraio). Il cambio eurodollaro è passato da 1,0780 a 1,0820, il dollaro/yen è sceso da 130,50 a 129,80”, aggiunge Diodovich.
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