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L’indice di aprile cala meno del previsto all’8,7%. E il dato core è al top dal 1992. Dopo le buone stime del Fmi sull’economia, i mercati vedono una BoE hawkish
Giornata difficile per le borse del Vecchio Continente, sulle quali ha gravato una lunga serie di brutte notizie. A partire dalla doccia fredda arrivata dall’inflazione britannica, cui si aggiungono i timori per il mancato accordo sul tetto del debito Usa e quelli sui danni che l’economia cinese potrebbe avere dalla nuova ondata di Covid insieme al bando dei chip Micron. Ma, se sull’impasse di Washington c’è la convinzione che arriverà un’intesa prima della ‘data X’, la corsa dei prezzi nel Regno Unito fa intravedere un futuro nero sul fronte dei tassi.
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Un rallentamento più lento del previsto
Ad aprile il carovita londinese è salito dell’8,7%, in frenata rispetto al 10,1% di marzo ma sopra l’8,2% atteso dagli economisti. Mese su mese l’aumento è stato dell’1,2% a fronte dello 0,7% del consensus. Peggio l’inflazione core: il dato si è infatti attestato al 6,8%, non solo nuovamente al di sopra delle attese (6,2%) ma anche sui massimi da marzo 1992. Su base mensile, i prezzi al consumo core sono aumentati dell’1,3% rispetto all’incremento atteso dello 0,7%. A pesare è stata soprattutto la dinamica ancora volatile nel settore degli alimentari.
Il bicchiere è comunque mezzo pieno per il premier Tory Rishi Sunak, che sottolinea come i numeri siano comunque in decisa frenata rispetto a marzo e sui minimi da 13 mesi. E lo è, a maggior ragione, dopo le previsioni rosee del Fondo monetario internazionale. Secondo gli esperti di Washington, per l’economia di sua Maestà non c’è più all’orizzonte una recessione e già nel 2023 il Pil, rivisto al rialzo, segnerà +0,5%. “Il Fmi ci ha riconosciuto di aver agito con decisione per contrastare il carovita ma, sebbene sia positivo che esso sia tornato a una sola cifra, i prezzi degli alimentari continuano a salire troppo velocemente. Questo significa che dobbiamo proseguire nell’essere risoluti”, ha avvertito il cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt.
Non mostrano la stessa positività gli investitori, convinti che la frenata sia troppo moderata. Dal punto di vista dei mercati, un dato di fondo ancora al 6,8% appare infatti indice di un’inflazione ancora radicata nell’economia. Tanto che la stessa Bank of England potrebbe nuovamente intervenire a giugno dopo il ritocco di 25 punti base deciso l’11 maggio scorso per portare i tassi al 4,50%. Solo una settimana fa il governatore, Andrew Bailey, ha ribadito il suo impegno “incrollabile” nel perseguire l’obiettivo del 2%.
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Inflazione Uk destinata a rimanere elevata
Secondo Tomasz Wieladek, chief european economist di T. Rowe Price, le attese del consensus sull’inflazione a lungo termine per l’area euro e il Regno Unito potrebbero iniziare a divergere per il resto dell’anno. E il motivo principale è la debolezza dell’offerta di lavoro e degli investimenti dopo la Brexit. “Gli economisti sell-side stanno iniziando a comprendere l’idea che gli squilibri del lavoro sono più importanti del divario di disoccupazione nel determinare l’inflazione salariale. I dati indicano una chiara carenza di manodopera in Uk rispetto all’Eurozona, soprattutto nel settore dei servizi”, spiega, sottolineando come questo abbia portato a una crescita salariale più forte nel Paese (6%-7%) rispetto a resto del continente (4-5%).
Secondo l’opinione comune degli economisti, l’inflazione britannica e quella dell’area dell’euro convergeranno nuovamente verso il 2% entro il 2025. “Guardando ai Gilt e ai Bund a cinque anni, questo è ciò che il mercato sta prezzando. Tuttavia, visti i problemi a lungo termine legati alla Brexit in materia di lavoro e investimenti, ritengo più probabile che il carovita di Londra sorprenda al rialzo rispetto quella dell’area euro”, conclude Wieladek.
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