L’indice dei prezzi al consumo rallenta la corsa su base annua e si ferma a +3%, tre punti in meno di maggio e uno sotto le stime. In calo anche il dato core. Esperti e mercati convinti: “Allentamento in vista”. E c’è già chi spera in tre sforbiciate
Dopo un inizio 2024 all’insegna dell’apprensione, con la corsa dei prezzi che pareva essere ripartita, Jerome Powell può finalmente tornare a sorridere. Il tasso d’inflazione annuale degli Stati Uniti ha infatti proseguito la propria fase discendente per il terzo mese consecutivo e a giugno si è spinto fino al 3%, meno del 3,3% di 30 giorni prima ma anche del 3,1% messo in conto dagli analisti. Un dato sorprendente, a maggiore ragione perché abbinato a un calo della componente core, che i gestori credono possa far propendere la Federal Reserve per un taglio dei tassi già a settembre.
Nel dettaglio dei dati diffusi dal Bureau of Labor Statistics, l’equivalente americano del nostro Istat, il carovita si è ridotto in ogni sua dimensione: non solo cioè a livello tendenziale ma anche su base mensile, registrando un -0,1%, e perfino nella componente che esclude beni volatili come alimentari ed energia (cosiddetta ‘di fondo’ o appunto ‘core’), calata in termini tendenziali a +3,3% dal +3,4% di maggio e inferiore di un punto percentuale alle previsioni di mercato. In frenata anche i rincari delle unità abitative e quelli dei servizi core, arrivati appena sotto il 3,0%, e i prezzi delle unità abitative.
Tagli prima. E forse in maggiore quantità
Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia
Per Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, si tratta di dati “incoraggianti” per la Fed. Tanto che i mercati stanno prezzando nell’intorno del 100% l’ipotesi di una sforbiciata ai tassi, da mesi fermi nella forchetta 5,25%-5,5%, già a settembre. Lo stesso pensiero di Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia, secondo cui le richieste di Powell sono state soddisfatte. “Le pressioni inflazionistiche hanno evidenziato un rallentamento significativo e cioè rende sempre più probabile un allentamento anticipato della politica monetaria”, ribadisce l’esperto, precisando che la riunione del 30-31 luglio sarà propedeutica a valutare questo scenario.
John Kerschner, head of US Securitised Products e portfolio manager di Janus Henderson, è perfino più positivo. Dal suo punto di vista, infatti, non appare eccessivo aspettarsi tre tagli entro gennaio 2025. “Il presidente Powell ha recentemente affermato che i rischi di inflazione sono ora più equilibrati. Il dato odierno rafforza questa opinione e forse ora fa pendere la bilancia verso i timori di un rallentamento più marcato dell’economia statunitense”, ha detto.
Morgane Delledonne, head of Investment Strategy Europe di Global X
Tra i pochi a non mostrarsi ottimista c’è Morgane Delledonne, head of Investment Strategy Europe di Global X. “Anche se i futures scontano un primo allentamento già tra due mesi”, spiega, “riteniamo che il rischio sia più orientato verso un minor numero di tagli”. E le ragioni alla base di questa view sono molteplici, come la stessa esperta precisa: “Powell non prevede di tagliare finché prima di aver acquisito maggiore fiducia nel fatto che l’inflazione si sta muovendo in modo sostenibile verso il 2%. La disoccupazione sta poi iniziando a salire ma resta storicamente bassa, così come la domanda dei consumatori e l’attività manifatturiera rimangono forti. Inoltre, le perturbazioni nel Canale di Suez hanno fatto quadruplicare i costi di trasporto da novembre”. Per l’analista, insomma, la finestra per il taglio dei tassi potrebbe chiudersi più verosimilmente “entro la fine dell’anno o all’inizio del 2025”. Il tutto senza considerare l’esito incerto delle elezioni, che avranno impatto sulla politica fiscale e dunque anche sulle principali variabili macroeconomiche all’attenzione del policymaker.
Azionario contrastato. E sul valutario tonfo del dollaro
La reazione alla notizia sull’azionario è stata contrastata: dopo forti rialzi iniziali alla pubblicazione del dato si è infatti tornati ai livelli pre-uscita delle cifre macro. I movimenti più significativi sono stati registrati nell’universo valutario, con forti vendite sul dollaro: l’euro, in particolare, ha guadagnato 50 pips sul biglietto verde fino a sfiorare il limite di 1,09 mentre la sterlina britannica è passata da 1,2870 a 1,2930.
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