Innocenzi (AIPB): “Private banker siano cerniera tra grandi patrimoni ed economia reale”
14 novembre 2018
di EUGENIO MONTESANO
5 min
Orientare il cliente verso scelte di investimento che uniscono interesse privato e benessere collettivo: è la grande opportunità del private banking per mettersi al servizio della crescita del paese.
Premiare le famiglie benestanti, se investono nell’economia reale. È la risposta che ha dato la maggioranza dei mille cittadini italiani che hanno partecipato all’indagine condotta dal Censis per conto dell’Associazione Italiana Private Banking (AIPB).
La maggioranza degli italiani è infatti convinta che chi investe la ricchezza che possiede moltiplica le opportunità per tutti, perchè i patrimoni finanziari sono una vera risorsa, e non sostanze sottratte egoisticamente alla collettività. “Il 52,4% degli italiani – si spiega – definisce la ricchezza come una opportunità per l’Italia, se si stimola chi la detiene a investirla bene. Il 25,1% invece la reputa inutile, perché pensa che i ricchi sono cittadini del mondo e portano altrove i soldi. Il 22,5% la ritiene poco meno di un furto ai danni della collettività, sottolineando l’egoismo dei ricchi”.
Nella percezione comune è prevalente, dunque, una visione della ricchezza come strumento produttivo, attraverso l’investimento diretto o indiretto nell’economia reale, garantendo allo stesso tempo rendimenti per i detentori dei patrimoni e benefici per l’intera collettività.
Nello specifico, per il 73,5% dei detentori di grandi patrimoni l’investimento giusto deve generare valore anche per il proprio paese, per il 70,4% deve avere ricadute positive su occupazione e redditi, per il 64,8% deve valorizzare i territori e le comunità di appartenenza, per il 59,5% deve essere socialmente responsabile, tutelare l’ambiente e favorire la qualità della vita delle persone. E il 45,7% degli italiani si dice addirittura favorevole a ridurre le tasse sui grandi patrimoni relativamente alle quote che vengono investite per favorire la crescita dell’economia reale.
Fonte: AIPB-Censis, Rapporto “Contribuire al rilancio dello sviluppo italiano: il valore sociale del private banking”, 2018
In questo quadro, come sottolinea il presidente dell’Aipb Fabio Innocenzi, il private banking gioca un ruolo decisivo perché, per due terzi dei detentori di grandi patrimoni, il banker rappresenta la figura professionale di riferimento quando si tratta di prendere le decisioni di investimento.
Ed è soprattutto grazie al lavoro dei banker che l’industria italiana del wealth management è riuscita a tenere la rotta anche in un anno difficile come quello che volge al termine. A giugno 2018 le attività finanziarie gestite ammontano a 801 miliardi di euro. Positiva la raccolta netta del primo semestre (+2,7%) che disinnesca in parte l’andamento negativo del mercato (-3,1% nei primi sei mesi del 2018). “Il private banking resiste agli andamenti negativi dei mercati finanziari”, commenta Innocenzi.
La sfida del private banking è dunque quella di supportare il cliente nella valutazione e selezione delle opportunità offerte dal sistema Italia rispettando i principi di diversificazione, economicità e rendimento. Un proposito che “non è in contrasto con le regole di ingaggio dei clienti”, afferma Innocenzi, dal momento che “i grandi patrimoni possono permettersi di allargare il perimetro di investimento”.
Innocenzi identifica due caratteristiche che rendono i portafogli private particolarmente adatti a favorire il sostegno dell’economia reale, ponendosi come alternativa al canale bancario: “La loro ampiezza” – spiega il presidente AIPB – “e l’alto grado di diversificazione che possono permettersi rispetto al retail, e che li protegge da rischi specifici. Non hanno necessità di immediata liquidità e possono orientarsi su investimenti alternativi, più illiquidi” come private equity, private debt, infrastrutture e fondi di real estate. “Questi portafogli sono ideali per finanziare i progetti di sviluppo delle imprese”, sottolinea Innocenzi.
Il portafoglio del cliente del private banking
Fonte: AIPB
Tuttavia, se da un lato la ricerca AIPB-Censis rileva che le famiglie benestanti manifestano buona attenzione ai temi sociali e allo sviluppo del paese, dall’altro attesta la forte propensione dei clienti private per protezione e liquidità e, di converso, l’esistenza di ampi spazi per investimenti illiquidi nei portafogli dei clienti private a sostegno del tessuto produttivo italiano.
In un mercato in cui dominano incertezza e volatilità, nella composizione del portafoglio medio del cliente private spiccano tanto la preferenza per soluzioni assicurative (+3% tra gennaio e giugno 2018 stando ai dati AIPB) quanto, soprattutto, la voglia di liquidità (+9%). In particolare, la liquidità complessiva nel portafoglio medio del cliente private si attesta oggi al 14%, “dato superiore alla media storica di lungo termine, che prima della crisi era pari al 7-8%”, contestualizza Innocenzi.
Evoluzione culturale e innovazione normativa
Come si colma il gap tra le intenzioni degli investitori private e le effettive decisioni di investimento? Come si scioglie l’intreccio di incertezza e opportunità determinato da una voglia di investire tanto in ottica di rendimento quanto di supporto all’economia, unita alla preoccupazione per il futuro?
Innocenzi identifica due fattori: “Uno vede insieme il banker e il cliente, l’altro vede protagonista la normativa, e agganciata a questa un elemento di opinione pubblica”, spiega il presidente AIPB.
“Il primo è un elemento di educazione all’investimento, non solo del cliente finale ma, per certi versi, anche del banker. Gli investimenti di cui abbiamo parlato sono, per loro natura, meno liquidi. Allo stesso tempo, questi investimenti non soltanto fanno bene al rendimento del portafoglio, perché essendo meno liquidi e avendo un orizzonte più di lungo termine offrono un rendimento atteso superiore, ma fanno bene anche all’economia reale” ribadisce Innocenzi, che identifica un vero e proprio ‘passaggio culturale’ da compiere, fondamentale ma di non semplice realizzazione. Neanche per i banker.
“I private banker si scontrano con la difficoltà di convincere il cliente ad assumersi un rischio di illiquidità, anche se diversificato” perché, osserva Innocenzi, “anche nella cultura del banker fa premio il fatto che le attività siano liquide, quotate e immediatamente negoziabili. Dunque anche il banker ha dei naturali ostacoli psicologici nel proporre certi investimenti al cliente. È un grande lavoro culturale che va fatto sul banker in prima battuta, e sul cliente successivamente”, argomenta Innocenzi.
Esiste poi un aspetto normativo, cui si affianca quello del lavoro dei media e dell’impatto sulla pubblica opinione. “Dobbiamo promuovere il principio che per portafogli di questa dimensione, assistiti professionalmente, deve valere lo stesso principio degli investitori istituzionali”, afferma Innocenzi. “Il mondo del risparmio è diviso in due grandi contenitori: gli istituzionali, che possono investire dove vogliono, e il retail che è giustamente protetto da criteri di trasparenza e liquidabilità ben definiti”.
Potendosi permettere di diversificare anche in strumenti alternativi, il grande bacino del private banking può beneficiare dal riconoscimento come forma intermedia, “che renderebbe più semplice la possibilità di offrire ai clienti strumenti di diversificazione che non rientrano in quelli strettamente per il retail”, spiega Innocenzi. “Mentre credo che sia fondamentale la tutela fino all’ultimo centesimo del risparmio del piccolo privato, che non può permettersi di avere neanche una piccola parte del portafoglio esposta a un rischio eccessivo, nel momento in cui si costruiscono portafogli di private banking bisogna dare importanza non solo alla tutela che viene dalla diversificazione, ma anche all’importanza dell’investimento in strumenti più rischiosi e meno liquidi, ma che aiutano l’economia”. È questa, secondo Innocenzi, la strada per legare il passaggio culturale agli aspetti di innovazione normativa, rafforzando entrambi a beneficio di banker e clienti.
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