Amundi: il 2022 è l’anno delle grandi trasformazioni
La casa di gestione presenta i principali spunti contenuti nell’outlook annuale. Nei portafogli spazio ad azioni value, emergenti e materie prime
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Come sarà il “Brave new world”, dopo che la pandemia ha scompaginato il modo in cui viviamo e lavoriamo, e cosa ci possiamo aspettare dal 2002 e oltre, nel mondo degli investimenti ma non solo? È questa la domanda che ha aperto la presentazione dell’outlook 2022 di Invesco, in cui è emerso che il tema principale sui mercati sarà l’inflazione, che dovrebbe vedere negli Usa un picco a metà 2022, seguito da un raffreddamento, e dovrebbe comunque continuare a livello globale per due-tre anni. Ma il quadro generale, per gli investitori, è positivo, come è stato spiegato in una nutrita sessione di lavori sotto la regia del country manager di Invesco per l’Italia, Giuliano D’Acunti.
Un aspetto che terrà ancora banco nel 2022 è la pandemia, dove si prevede un’evoluzione della strategia di “zero tolerance” in Cina e altri Paesi asiatici e situazioni, uno scenario tutto sommato positivo negli Usa e in Europa, dove gli esperti non si aspettano altri lockdown generalizzati per intere regioni ma al limite delle restrizioni specifiche per alcuni Paesi e aree. Per gli emergenti la fotografia è più complicata, visto che le risorse per gli stimoli fiscali sono limitate e le vaccinazioni più lente, ma anche qui si prevedono evoluzioni positive.
A livello economico, l’attesa è quella di una sorta di normalizzazione, con un allontanamento dalle fenomenali statistiche di ripresa della produttività dalla pandemia. Il tema dominante è quello dell’inflazione: “Negli Usa, ci aspettiamo un picco intorno alla metà del prossimo anno, seguito da un raffreddamento, ma ci sono ancora una serie di incognite da considerare”, ha commentato Ashley Oerth, Investment strategy analyst. In Cina, secondo il Global market strategist David Chao, in questo momento c’è soprattutto un’inflazione legata alla produzione e non alla domanda. “La situazione sta migliorando, i costi di shipping stanno scendendo e la carenza di semiconduttori sta migliorando. Ma i consumatori sono ancora incerti e si limitano negli acquisti. Molto dipenderà dalle iniziative del governo per stabilizzare la situazione”.
In Europa, dove a livello economico ci sono ragioni per essere ottimisti, sia alla luce delle riforme nei singoli Paesi (Italia compresa) sia per la posizione di leadership nella rivoluzione sostenibile, “non c’è molto che si può fare in questo momento per l’inflazione, perché ci sono stati stimoli impotenti che non possono essere ritirati così presto, nonché i problemi legati alla logistica”, ha osservato Arnab Das, Global market strategist. Il punto quindi è che “l’economia europea ha giusto bisogno di un po’ di tempo per adattarsi a questo contesto di elevata inflazione, e questo potrebbe costituire un ostacolo alla crescita”, ha aggiunto Das.
Infine, sugli emergenti “la view è molto costruttiva in generale, non siamo bullish ma abbiamo una visione più positiva rispetto al consensus, ma abbiamo ovviamente un outlook Paese per Paese, perché ci sono nazioni che stanno affrontando grandi difficoltà sul fronte della crescita e dell’inflazione, come il Brasile”, ha precisato Das. L’India ha una crescita forte e un mercato azionario con ottime performance, la Russia ha dati macro positivi ma pesanti problemi geopolitici: il punto, come sempre, è essere selettivi.
Dal punto di vista delle politiche monetarie, gli esperti si aspettano una normalizzazione, il cui impatto sui mercati dovrebbe portare a una minore dispersione tra le varie asset class, ha precisato Oerth, spiegando che Invesco mantiene una preferenza per l’azionario, e in particolare per i difensivi come l’healthcare.
Ma se l’inflazione è pressoché ovunque a livelli mai visti negli ultimi anni, si tratta ancora di un fenomeno transitorio o strutturale? Per il Chief economist John Greenwood, “per il momento possiamo solo dire che durerà per i prossimi due o tre anni, quindi non è l’inizio di una sorta di ‘era dell’inflazione’, ma con impatti molto diversi da Paese a Paese. Dobbiamo osservare che il prezzo dei beni è salito anche se quello dei servizi è ancora molto debole, e le disfunzioni delle supply chain fanno il resto. Ma questi sono tutti fenomeni destinati a scomparire, anche se non così rapidamente”, ha spiegato Greenwood.
Quello che conta, quindi, è soprattutto vedere come si muoveranno le banche centrali. “L’inflazione è soprattutto un fenomeno monetario, e occorrerà vedere la crescita monetaria che varierà in maniera diversa da Paese a Paese. Per esempio, negli Usa, nel Regno Unito e in Israele c’è stata una forte crescita della massa monetaria e quindi l’impatto dell’inflazione può essere più alto”. Sugli Stati Uniti, in particolare, Grenwood si aspetta un livello di inflazione del 5-10% il prossimo anno.
E poi c’è l’aspetto delle reazioni sui tassi. In questo “senso sarà molto importante guardare a cosa farà la Fed. Se non si muove sui tassi, e si limita a procedere con il tapering contando sul fatto che a un certo punto l’inflazione scenda, i mercati e le economie sopravvivranno. Se invece i membri del FOMC a un certo punto dovessero iniziare a sentirsi frustrati dalla situazione, delle mosse avventate sui tassi potrebbero produrre una recessione nel 2023”, ha affermato Greenwood. Nei Paesi emergenti molte banche sono già intervenute alzando i tassi, e altre seguiranno, ma in Europa – così come in Giappone – per Greenwood al momento non si prospetta un rialzo dei tassi. Più a lungo termine, l’economista si aspetta comunque una normalizzazione ovunque da qui a tre anni, quando la situazione monetaria dovrebbe tornare ai livelli pre-pandemici.
Stephanie Butcher, Chief Investment Officer di Invesco, osserva che certamente affrontare un periodo di inflazione elevata di due o tre anni sarà una sfida difficile per i mercati finanziari. “Però questo porterà anche a un rerating e si potrà tornare a vedere un minore sbilanciamento sull’azionario. In questo contesto, sarà quindi bene tornare a essere maggiormente costruttivi sui settori che hanno la tendenza a performare bene in contesti di inflazione elevata e di fronte alla prospettiva di rialzi dei tassi. E che hanno sottoperformato negli ultimi anni”. Per esempio, il contesto si preannuncia favorevole sulle banche, che “potranno portare un maggiore equilibrio sui loro portafogli, secondo Butcher. Sul fronte obbligazionario, Thomas Moore, Co-Head del team di fixed income e fund manager, osserva che i bond sono più sensibili al contesto inflativo, “quindi da gestori attivi cerchiamo di orientare il portafoglio per generare il maggiore income disponibile in questo contesto e limitare le discese future”. Nel quadro attuale, secondo Moore i bond indicizzati all’inflazione sono “uno strumento molto utile”.
shl.
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