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L’ex presidente BCE mette sul tavolo una cifra senza precedenti: 800 miliardi di euro l’anno. Ecco perché bisogna accelerare su unione dei capitali, unione bancaria ed eurobond
Tra le cinquanta parole più utilizzate da Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività europea oltre a Europa (ça va sans dire) c’è il termine investimenti. In oltre trecento pagine, l’economista, che da presidente BCE salvò l’euro con il bazooka monetario, racconta di una nuova strategia industriale per invertire quel divario di competitività che si è spalancato con le superpotenze Stati Uniti e Cina. Parliamo di 170 proposte di riforma delle politiche economiche e di difesa, dei meccanismi decisionali (più veloci e meno farraginosi) ma anche di un vero e proprio debito comune. Perché servono la bellezza di 800 miliardi l’anno di investimenti, per l’appunto. Risorse che andranno concentrate su tre settori chiave: innovazione, decarbonizzazione e sicurezza.
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Le tre amacro aree d’azione
Un primo problema è chiudere il gap di innovazione che si è aperto con
gli Stati Uniti. Tra le raccomandazioni Draghi propone, ad esempio, di rafforzare il Consiglio europeo dell’innovazione per renderlo simile all’Arpa, l’agenzia USA che supporta le tecnologie strategiche. Solo quattro delle cinquanta principali aziende tecnologiche del mondo sono, infatti, europee. Senza contare che si tratta di imprese specializzate in tecnologie mature, con un potenziale innovativo limitato e quindi con un approccio verso la ricerca e lo sviluppo meno preponderante rispetto agli americani. L’UE inoltre non traduce le sue scoperte in commercializzazione e chi prova a espandersi è ostacolato da “norme
incoerenti”. La conseguenza è una fuga generalizzata: dal 2008 circa il
30% degli unicorni europei si è trasferito all’estero, soprattutto negli
USA.
Il secondo punto cruciale riguarda l’ambiente. Serve “un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività”, dice Draghi…

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