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Il Rapporto Consob: sale al 40% la quota di chi si affida ad un advisor. Preferiti i certificati di deposito e i buoni fruttiferi postali, seguiti da BTP e fondi comuni. Aumentano gli investimenti ESG e le criptovalute
Social media protagonisti fra le fonti d’informazione, più criptovalute in portafoglio, ma anche più prodotti sostenibili, e un maggiore ricorso alla consulenza finanziaria. Sono queste alcune delle novità più interessanti che emergono dall’edizione 2024 del Rapporto Consob sulle scelte d’investimento delle famiglie italiane. Che conferma le scarse conoscenze finanziarie dei nostri connazionali, la loro ridotta propensione al rischio e il sempre primario obiettivo della protezione del capitale.
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Internet prima fonte di informazione, social terzi
Per la prima volta, quest’anno il report analizza il tema delle fonti e della documentazione maggiormente utilizzate dagli investitori per raccogliere informazioni sull’economia, la finanza e le opportunità di investimento. Ne emerge che Internet è di gran lunga il canale più usato (67%), seguito dalla televisione (43%). In terza posizione (36%) spuntano i social media, che si piazzano così sostanzialmente a pari merito con i siti o le app degli intermediari finanziari. Fuori dal podio carta stampata e testate online, ormai utilizzate solo dal 34% degli interpellati, percentuale che scende al 33% per i siti delle istituzioni.
In particolare, la rilevanza dei social media come fonte d’informazione in campo finanziario è maggiore per i giovani fra i 18 e i 34 anni (58%) e per le donne (42% contro 34% degli uomini). Il campione Consob si basa su poco più di 2mila investitori, con un’età media di 51 anni e per il 78% di sesso maschile. E l’Authority sottolinea come siano soprattutto alcune categorie ‘più fragili’ di investitori quelle più propense a un utilizzo frequente dei social media per informarsi: le donne, i meno abbienti, i meno istruiti e coloro che hanno conoscenze finanziarie e digitali più basse.
Lo studio mette in luce, inoltre, che il decisore finanziario è di regola il membro della famiglia che percepisce il reddito più alto ed è anche il principale responsabile della gestione delle finanze. Nel 78% dei casi è un uomo di età media di 51 anni. Si conferma, dunque, il consolidato divario di genere che caratterizza il contesto italiano con riferimento non solo ad aspetti retributivi ma anche sociali e culturali. L’obiettivo prioritario nelle scelte d’investimento è la protezione del capitale (81%) a fronte di un 55% di intervistati che si prefigge, invece, la crescita del capitale.
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Al momento di investire il 40% va dal consulente
Nonostante il predominio del web, quando si tratta di investire appena il 3% segue i consigli dei social network. La quota più rilevante dei partecipanti all’indagine dichiara infatti di assumere alcune delle decisioni finanziarie in autonomia (42%), mentre il 40% sceglie dove mettere i suoi soldi con il supporto di un consulente finanziario oppure di un addetto della banca. Un dato, quest’ultimo, in crescita rispetto al 32% del 2022. Di tale percentuale, però, solo il 12% circa dichiara di avere un contratto con il proprio intermediario di riferimento. Infine, il 32% degli investitori retail segue i suggerimenti di parenti, amici, colleghi considerati non esperti (‘informal advice’), mentre il 9% segue le indicazioni di parenti, amici, colleghi che lavorano nel settore finanziario (‘informal advice by expert’). Il 6% circa delega le proprie scelte finanziarie a intermediari.
Un consulente è per sempre
Chi si rivolge al consulente più frequentemente possiede in prevalenza fondi comuni di investimento (51%), buoni postali (46%), obbligazioni (44%) e titoli di Stato (43%). Gli investitori retail, poi, tendono a confermare la scelta dell’intermediario di riferimento nel tempo, dato che nel 43% circa dei casi, conoscono il proprio referente per gli investimenti da più di dieci anni. I fattori che guidano la selezione dell’advisor sono soprattutto la chiarezza (21%), l’attenzione ai bisogni del cliente (18%), l’affidabilità (19%), la disponibilità a seguire il cliente anche dopo la prestazione del servizio (16%) e la competenza (18%). Nel 48% dei casi, il consulente non viene inizialmente selezionato dal cliente, ma gli viene assegnato, ad esempio direttamente dalla banca.
Il ricorso alla consulenza tende a crescere con l’età, dato che il 49% degli investitori tra i 65 e i 75 anni richiede il consiglio dell’advisor prima di effettuare scelte di portafoglio. Quota che scende al 48% tra i 55 e i 64 anni, per calare ancora l 32% nella classe di età tra i 18 e i 34 anni. Inoltre, le donne si rivolgono a un consulente (43%) più frequentemente degli uomini (39%). Infine, la ricerca del servizio di consulenza si associa spesso ad avversione al rischio (44%) e a più alte conoscenze finanziarie di base (44%). Gli investitori che si rivolgono a un consulente si informano meno frequentemente su tematiche ESG e investono più raramente in cripto-valute.
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Le scelte di portafoglio
L’analisi delle scelte di portafoglio evidenzia che i prodotti finanziari maggiormente diffusi sono certificati di deposito e buoni fruttiferi postali (48%), seguiti da titoli di Stato (39%), fondi comuni di investimento (36%), obbligazioni (35%), depositi vincolati e azioni (32%). Tra i prodotti finanziari largamente meno presenti nei portafogli degli investitori retail italiani si annoverano gli Eltif e i pronti contro termine (4%). Si stima che il 6% degli investitoti retail detenga ETC, strumenti finanziari emessi a fronte dell’investimento diretto dell’emittente in materie prime fisiche (ETC physically-backed) o in contratti derivati su materie prime. Il grado di diffusione dei Piani individuali di risparmio (PIR) è pari al 7% circa, mentre si rileva un aumento della presenza dei corporate bond nei portafogli, correlato alla circostanza che gli elevati tassi di interesse sulle obbligazioni, in particolare governative, hanno indotto scelte più prudenti.
Una quota rilevante di investitori retail considera l’orizzonte temporale (35%), i rendimenti attesi e gli obiettivi di investimento (30%) quali fattori trainanti nel guidare le proprie scelte di portafoglio. Largamente inferiore è il peso in media attribuito alle conoscenze finanziarie (18%) e alle esperienze di investimento (9%) pur essendo essi inclusi tra i parametri per la valutazione di adeguatezza MiFID II. Maggiori conoscenze finanziarie di base si associano a una più elevata probabilità di detenere fondi comuni (48%), confermando un dato già rilevato nell’indagine del 2022, mentre una più alta sustainable finance literacy si associa a una maggiore frequenza di investimenti obbligazionari (42%) e azionari. Infine, i portafogli degli investitori retail tendono a essere soggetti a basso turnover dato che Il 41% dichiara di non aver venduto prodotti finanziari negli ultimi dodici mesi.
Crescono gli investimenti sostenibili
Il report conferma poi come l’interesse per gli investimenti sostenibili si sia largamente diffuso negli ultimi anni, anche se non sempre si traduce in un’effettiva espansione di mercato. Nel 2024 si rileva infatti una crescita del grado di diffusione di prodotti ESG (20% contro l’11% del 2022), ma la quota di decisori finanziari che dichiarano di non detenerne rimane elevata (72% circa). Gli strumenti maggiormente diffusi sono i fondi comuni di investimento oppure gli ETF, che rappresentano il 50% circa del totale, seguiti dai green bonds sovranazionali (29%) e dalle azioni con profilo di sostenibilità (28%)
Gli investitori segnalano quali fattori deterrenti rispetto a scelte di investimento sostenibili la circostanza che la finanza ESG sia troppo opaca (41%) e che essa costituisca un fenomeno di marketing (39%). In aggiunta il 30% afferma di non credere che essa possa avere un impatto concreto sullo sviluppo green. In questo quadro, il 50% ritiene che i consulenti siano in grado di conoscere e riconoscere i prodotti sostenibili individuando, in tali figure professionali, un punto di riferimento formativo e informativo che potrebbe facilitare l’avvicinamento a questo tipo di strumenti.
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Raddoppiati gli italiani con le criptovalute in portafoglio
Infine il rapporto segnala anche che, tra il 2022 e il 2024, è più che raddoppiata la percentuale di persone che hanno criptovalute in portafoglio, dall’8 al 18%. I detentori di crypto-currencies appartengono più frequentemente a classi di età medio basse (34% per la fascia di età 18-34 anni e 27% tra i 35 e i 44 anni). Inoltre, con maggiore frequenza sono decisori finanziari uomini (20%) piuttosto che donne (13%). Sono, infine, tendenzialmente caratterizzati da maggiore propensione al rischio e da più elevate conoscenze digitali.
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