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Vismara (Equita): “Abbiamo più che mai bisogno di un efficiente capital market in Europa per assicurarci che la aziende europee abbiano accesso a un buon mercato dei capitali”
L’investment banking europeo si trova davanti a un bivio: ora o mai più è il momento per il rilancio, per raccogliere le sfide di questa fase così delicata per l’economia e – possibilmente – per colmare il divario con le banche di investimento statunitensi, che dalla grande crisi finanziaria a oggi non hanno fatto che incrementare la propria quota di mercato a danno delle controparti europee. Con conseguenze in termini di attrazione di talenti, di sviluppo dei mercati finanziari e di crescita e sviluppo delle imprese europee, in particolare per quelle di minori dimensioni, soprattutto in una fase così difficile come quella della ripresa dalla grave crisi innescata dalla pandemia. Una sfida che richiederebbe sforzi a livello di sistema, da parte di tutti, a partire dai policy maker. Ma cosa bisognerebbe fare per rivitalizzare il settore in Europa, vista l’importanza della posta in gioco? Di possibili soluzioni si è discusso nel corso del webinar “European Investment Banking: is it now or never”, organizzato da Equita in partnership con la Bocconi.
“Se si guardano gli indici di mercato vediamo un andamento profondamente divergente tra Usa ed Europa sul fronte bancario”, ha spiegato Stefano Gatti, Antin IP Professor of Infrastructure Finance della Bocconi, aggiungendo che “dal 2007 a oggi se guardiamo gli indici il valore di mercato del settore bancario negli Stati Uniti ha perso circa il 10,5%, mentre in Europa ha perso circa l’82%. Una divergenza iniziata con la crisi e accelerata nel periodo 2012-2013. Se i numeri vogliono dire qualcosa, l’Europa è in evidente svantaggio competitivo”. Potenziali spiegazioni? Secondo l’esperto una delle ragioni potrebbe essere una severa diminuzione dei volumi delle attività di investment banking in Europa nei settori chiave di debt capital markets, equity capital markets, consulenza su corporate finance e M&A. Addirittura, i numeri di oggi appaiono peggiori di quelli del 2008, che di certo non è stato un periodo facile. I bassi volumi poi hanno portato a minori ricavi, e a una diminuzione della market share delle banche di investimento del Vecchio Continente: le istituzioni europee hanno perso circa il 7% sulla fetta globale di ricavi, mentre quelle americane hanno guadagnato un analogo 7%.
“Le dimensioni contano”, ha commentato Stefano Caselli, prorettore agli Affari internazionali della Bocconi, ricordando che un’istituzione più grande è maggiormente capace di attirare talenti e know how. E purtroppo i numeri sono contro i player europei, “visto che i tre principali istituti statunitensi hanno in mano il 33% del mercato, mentre i primi tre europei appena il 13%”, aggiunge Caselli, sottolineando il bisogno in Europa di fare “scale-up” per colmare il divario. Accanto al problema delle dimensioni, l’accademico aggiunge quello della “diversificazione, visto che le europee sono campionesse sui crediti, ma hanno bisogno di diversificare maggiormente le fonti di ricavo”. E, terzo elemento, quella che Caselli definisce “equitisation”, dato che “c’è un drammatico bisogno di equity in Europa, in particolare per le imprese, e sinceramente penso anche che l’equity sia un’attività chiave per l’investment banking, un fattore essenziale per lo sviluppo di questo settore”, ha detto Caselli, auspicando a tal fine “incentivi e riforme fiscali per supportare l’equity”, assieme a “veicoli giusti che possano agire da investitori”.
“È evidente che le banche di investimento statunitensi abbiano guadagnato quote di mercato dalla scorsa crisi in poi – commenta Alison Harding-Jones, Head of EMEA M&A di Citi – è un aspetto legato a diversi fattori, tra cui la diversa velocità di reazione alla crisi, la diversa velocità con cui le banche si sono rimesse in piedi, la relativa forza e dimensione, ma anche alle caratteristiche intrinseche del mercato domestico core, che è il più grande mercato del mondo per l’investment banking. Se stai per concludere una grandissima operazione hai bisogno di una istituzione di dimensioni adeguate a sostenerti, e questo spiega il ricorso alle banche americane”.
Questa differenza con i player d’Oltreoceano è un problema per l’investment banking europeo? Sì secondo Andrea Vismara, Ad di Equita, perché è un problema che si collega direttamente all’efficienza del capital market e al grado di sviluppo delle imprese che hanno bisogno di capitali per crescere. “Abbiamo più che mai bisogno di un efficiente capital market in Europa per assicurarci che la aziende europee abbiano accesso a un buon mercato dei capitali”, ha sottolineato Vismara, concorde sul fatto che se le banche di investimento americane guadagnano ampie quote di mercato i business più redditizi finiscono per indirizzarsi alle banche Usa. Così “le banche d’investimento europee perdono attività redditizie e spesso le istituzioni più grandi decidono di smantellare questi business, quelle più piccole finiscono fuori dal mercato”, e di conseguenza le piccole imprese ricevono meno attenzione.
Per ovviare a questo grave problema, continua Vismara, “c’è bisogno di una risposta a livello dell’ecosistema”. Certo, i regolatori e i policy maker si sono posti il problema, ammette Vismara, ma lo hanno affrontato piuttosto dal punto di vista regolatorio, finendo per produrre delle regole che hanno portato molti progressi sul fronte della protezione degli investitori, ma non sull’ecosistema. Sul fronte degli investitori attivi, investitori attivi sulle imprese più piccole, broker, vediamo che questi stanno scomparendo. E possiamo avere il migliore set di regole del mondo, ma senza l’ecosistema non andiamo avanti”, aggiunge.
Ma a livello delle istituzioni europee il problema non è stato ignorato, come ha indicato Mario Nava, ex numero uno della Consob oggi tornato in forze alla Commissione europea come direttore generale alle riforme strutturali. “Soprattutto ora che la pandemia ha colpito duramente le economie sappiamo che per la ripresa è necessario fare leva sui giusti investimenti, certamente puntando sulla diversificazione degli investimenti, perché un ecosistema che punta solo sul credito bancario finisce per essere meno resiliente. Sul fronte dell’Unione dei capitali, l’High Level Forum on the Capital Markets Union ha presentato il suo report finale alla Commissione, e ora verrà discusso da Consiglio e Parlamento Ue. Il report formula 17 raccomandazioni concrete, di cui ben sei possono essere ricondotte ai temi appena toccati. In particolare su European Long-term Investment Funds, sulla ‘equitizzazione’ in senso lato, sulle regole di Solvency 2, sull’emissione di titoli, sulle quotazioni e sulle regole dei settlement. Chiaramente molte delle questioni sono state ben identificate a livello europeo e ci sono diversi strumenti che possono essere impiegati per assicurarsi che il sistema europeo affronti i prossimi trimestri con maggiore forza”.
Nava ha ricordato comunque anche che “le banche europee hanno avuto un ruolo molto diverso in questa crisi rispetto alla precedente. In questa hanno potuto sostenere le economie, contribuendo a tenere alta la liquidità del mercato, perché negli ultimi anni sono diventate più solide e più forti. Sono quindi state parte della soluzione, e non del problema come la scorsa volta”.
Ma questo non vuol dire che si debba cercare di migliorare la situazione dell’investment banking per risolvere i problemi ciò descritti. Ma quali le soluzioni? Per Gatti c’è bisogno di un quadro più coerente e omogeneo, che riduca la frammentazione. Una soluzione che farebbe progredire il settore passerebbe o “da una maggiore integrazione – che è nei piani delle istituzioni europee – oppure un consolidamento del settore bancario con la creazione di campioni europei”. Anche Harding-Jones ribadisce l’importanza della creazione di campioni.
Secondo Caselli la soluzione passa da una parte da maggiori dimensioni dei player e dall’altra dalla diversificazione delle fonti di finanziamento. Per Caselli è importante far sì da un lato che le banche europee non vengano percepite solo come campionesse di prestiti, e dall’altro che le imprese più piccole possano accedere ai capital markets per crescere, e a tal fine sarebbe necessario alleggerire le regole sulle Ipo ed eliminare la dicotomia tra imprese private e imprese quotate, “creando una categoria che sia una via di mezzo, in cui le società adottano una migliore disclosure, si dotino di una migliore governance e incontrino gli investitori”.
Nava sottolinea l’importanza di dar vita a un buon sistema finanziario, per cui servono sia un buon mix di fondi di finanziamento (debito e equity), sia servizi finanziari al servizio dell’economia: “servono progetti vibranti in grado di dare risultati nel lungo periodo, ma ho fiducia nelle istituzioni che guarderanno le varie proposte , in 2019 virtualmente ogni Ecofin informale ha visto discussioni su questi temi”. E vede in maggiore integrazione e maggiore sostenibilità le chiavi per la svolta.
Vismara ribadisce che il cuore della questione è la necessità di non far sparire gli investitori, e questo impone una riflessione su molti aspetti a livello regolatorio e di policy. Per il manager “è importante essere coscienti che c’è un problema di policy industriale sul settore” e “preservare l’ecosistema europeo, anche a livello di piccoli investitori, piccoli mercati, piccole società”.