A share cinesi attraenti. Ecco perché
Con una capitalizzazione prossima ai 6.500 miliardi di dollari, quello delle A share del Paese asiatico è il secondo mercato mondiale dopo gli Stati Uniti
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La maxi Ipo da 35 miliardi di dollari del colosso del fintech Ant, sospesa due giorni prima dal debutto a Shanghai e Hong Kong (fissato il 5 novembre), “è il più grande fallimento della storia del mercato azionario”, commenta lapidario Carlo De Luca, responsabile Asset Management di Gamma Capital Markets, spiegando che “gli effetti sono stati chiaramente disastrosi: Alibaba, che possiede circa il 33% di Ant, ha registrato un tonfo in Borsa di circa il 9% portando a casa una perdita di circa 70 miliardi di dollari di capitalizzazione”.
Perché l’Ipo di Ant è stata sospesa? Stando alle dichiarazioni rilasciate dalla Borsa di Shanghai, il motivo dell’esclusione (che potrebbe far slittare l’operazione di sei mesi) risiede nella tutela del mercato dei capitali e degli investitori (la domanda arrivata era di 3mila miliardi) , riferendosi alla mancanza di requisiti di quotazione e dei criteri relativi alla corretta divulgazione delle informazioni del miliardario Jack Ma, fondatore e proprietario del gruppo che ha perso tutto d’un botto 2,6 miliardi di dollari di patrimonio.
“È probabile, in realtà, che l’Ipo sia stata fermata dalle autorità in quanto rappresentava una seria minaccia alla concorrenza per posizione dominante e metteva a rischio i dati personali. In effetti, Ant Group, che possiede la più grande piattaforma online di pagamenti in Cina, Alipay, serve oltre un miliardo di utenti e 80 milioni di commercianti, con transazioni che hanno raggiunto 118 trilioni di yuan cinesi nel giugno 2020, riuscendo a canalizzare in un solo sistema, sistemi di pagamento in tempo reale e migliaia di altre variabili, utili per la valutazione del rischio di credito” aggiunge De Luca. L’azione normativa, dunque, sembra proteggere il settore statale dall’enorme ricchezza generata dal settore privato negli ultimi periodi: in un anno, i primi 10 magnati cinesi sono diventati più ricchi di 159 miliardi (fonte Bloomberg).
“Questo cambiamento normativo dell’ultimo momento -spiega Kevin Carter, ideatore di EMQQ Emerging Markets Internet & Ecommerce UCITS ETF, nonché esperto di mercati emergenti – intende probabilmente mettere al riparo anche da 3 rischi. Innanzitutto, bisogna assicurare che l’Ipo avvenga senza problemi dal punto di vista tecnico e strutturale che possono verificarsi nel momento della quotazione più grande della storia. Con il mercato STAR ancora agli inizi che vuole mostrare al mondo la sua capacità di gestire tutto senza intoppi, meglio posticipare che commettere errori. Poi c’è la preoccupazione sull’ammontare della leva consentita al mercato retail e alle banche. Questo si riferisce al tipo di investitori sul mercato di Shanghai che vedono l’investimento in modo simile alle scommesse al casinò. È un tema che va assolutamente affrontato e siamo del tutto d’accordo. Il terzo punto è che il Partito cerca di imporre ulteriori barriere ad un business rivoluzionario per prevenire qualunque tipo di conflitto con le banche statali. Ha già fatto cambiare il nome alla società eliminando la parola Financial e non ci sono dubbi che possa imporre altre esclusioni alle attività di business. È il più preoccupante dei tre rischi ma è anche nel miglior interesse del governo vedere il successo di Ant”.
Dopo la decisione della Borsa di Shanghai, ha fatto seguito anche quella di Hong Kong. “È chiaro che tale avvenimento può dare il via a successive problematiche per future Ipo, ma sicuramente non intaccherà la crescita delle aziende tech e dell’economia cinese in generale, ormai un megatrend affermato da anni” spiega De Luca.
“Il rinvio della quotazione – aggiunge però Kevin Carter – non cambia il quadro di fondo: un quinto di tutte le Ipo del 2020 sono state sul listino di Shanghai, aggiungendo quelle su Shenzhen e Hong Kong siamo quasi al 50% del totale. Poi vi sono quelle di aziende cinesi su Nyse, come quella della scorsa settimana di Lufax, fintech di Ping’An, e quelle attese nei prossimi mesi tra cui spicca indubbiamente Didi, definibile la “Uber” cinese e probabilmente il più grande unicorno al mondo oggi. Didi ha distrutto il tentativo proprio di Uber di accedere al mercato costringendolo a barattare il proprio parco auto per un pugno di azioni e a darsi alla fuga annichilito dall’unione di Wechat e Alibaba sul lato car-sharing, insieme assolutamente insormontabili”.