4 min
Per gli investitori il pericolo principale è quello di un conflitto più ampio e prolungato. E di un conseguente shock petrolifero. La volatilità resterà alta, occasioni tra i titoli energetici
Mentre i listini europei si muovono in allarme ma senza forti scossoni, dopo l’attacco di Hamas in Israele gli investitori guardano soprattutto al petrolio e alle altre materie prime, in decisa accelerazione insieme ai beni rifugio come oro e dollaro. Il principale timore dei mercati, secondo i gestori, è infatti che le ostilità iniziate nel weekend possano trasformarsi in un conflitto prolungato e incendiare buona parte del Medio Oriente arrivando a coinvolgere altri Paesi, a partire da Iran e Libano.
“Le tensioni in territorio israeliano hanno portato alla corsa degli operatori finanziari verso beni rifugio come il dollaro Usa che, complici la stretta monetaria della Fed e la resilienza dell’economia statunitense, quest’anno è già salito del 2,1%”, sottolinea Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm. Se chiudesse al rialzo per il terzo anno consecutivo, evidenzia l’esperto, il biglietto verde metterebbe a segno la più lunga serie di aumenti dal 2016. Con conseguenti pressioni sui Paesi importatori di energia, in particolare gli Emergenti come India e Cina. Il coinvolgimento dell’Iran e di Hezbollah, secondo Flax, fa poi temere potenziali ripercussioni sul fronte della produzione di petrolio. “Questa mattina il prezzo del barile è salito del 3%, con il Brent in recupero rispetto alla scorsa settimana. Beni rifugio come il dollaro Usa e l’oro, nonché il prezzo del petrolio saranno tre indicatori chiave da tenere sotto attenta osservazione nelle prossime settimane”, avverte.
Per Benjamin Melman, global cio asset management di Edmond de Rothschild Am, finora gli investitori hanno reagito in modo contenuto e c’è stato un leggero spostamento in direzione del quality, con i mercati azionari e i rendimenti obbligazionari in calo. “Questi eventi drammatici riguardano Paesi non produttori di petrolio che hanno un impatto limitato sull’economia globale”, fa notare, aggiungendo che il rischio principale è proprio il peggioramento della situazione nella regione e un potenziale rapporto tra Israele e Iran, con ipotetiche conseguenze molto significative. “Non solo l’Iran è un grande produttore di petrolio, ma potrebbe nuovamente bloccare lo Stretto di Hormuz e distruggere i campi petroliferi vicini”, avverte.
Dello stesso parere Filippo Diodovich, senior market strategist di Ig Italia, secondo il quale la volatilità è destinata a rimanere decisamente elevata nei prossimi giorni e l’impatto sui mercati sarà sempre più profondo se dovessero essere coinvolti altri Stati, portando ad un’avversione al rischio e ad un sentiment di risk-off che potrebbero protrarsi. “Nonostante la delicata e complessa situazione non riteniamo che si possa ripetere l’embargo petrolifero del 1973 in seguito alla guerra dello Yom Kippur”, precisa però Diodovich, che fa notare come, rispetto ad allora, l’influenza dell’Opec sulla produzione globale sia diminuita notevolmente. “Inoltre, i colloqui in corso tra Arabia Saudita e Israele per normalizzare le relazioni tra i due Paesi gettano le basi per una situazione diversa”, rimarca.
È comunque innegabile, come aggiunge Norman Villamin, group chief strategist di Union Bancaire Privée, che la situazione ha tutto il potenziale per espandersi in un conflitto prolungato, che storicamente ha rappresentato un ostacolo per i mercati azionari globali. “In base ai precedenti storici, il rischio che la più grande incursione in Israele dal 1973 si trasformi da evento localizzato a conflitto prolungato e che coinvolga un numero maggiore di Paesi dovrebbe essere tra le principali preoccupazioni degli investitori”, mette in guardia l’esperto. A suo avviso, poiché le esportazioni iraniane e i rilasci dalla riserva petrolifera strategica Usa hanno praticamente compensato i tagli all’offerta saudita, una risposta globale che riduca l’offerta iraniana senza che Riad compensi con un aumento creerebbe un nuovo shock per i mercati energetici globali. “Con i titoli azionari del settore energetico storicamente a buon mercato su base assoluta e rispetto al mercato più ampio, il settore potrebbe offrire un rifugio sicuro nel contesto di incertezza geopolitica emerso nel fine settimana”, precisa Villamin.
Inoltre, secondo Melman, il fatto che il governo israeliano sia stato indebolito dalle sue riforme costituzionali, che ampie fasce della popolazione hanno respinto, potrebbe rendere la reazione meno prevedibile. “Di conseguenza, è logico applicare un premio per il rischio ai mercati. Per il momento non c’è motivo di modificare il nostro posizionamento in termini di asset allocation: aspettiamo di vedere come si evolverà la situazione prima di prendere posizione”, conclude.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.