Asset allocation, istituzionali pessimisti sui bond sovrani
Secondo gli State Street Institutional Investor Indicators, a dicembre la propensione al rischio è tornata a calare. Ma l’allocazione azionaria resta ai massimi da oltre 16 anni
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La pandemia, l’inflazione e ora la guerra hanno impresso una svolta netta all’asset allocation dei grandi investitori istituzionali, che hanno cominciato a concentrarsi su asset e mercati meno rischiosi. È quanto emerge dalla nuova ricerca condotta da State Street Corporation e International Forum of Sovereign Wealth Funds (Ifswf), network globale di fondi sovrani di cui fanno parte quasi quasi 40 Paesi.
L’indagine, dal titolo “Post-pandemic shift: evidence from institutional-investor and sovereign wealth fund activity”, ha analizzato l’attività aggregata degli investitori istituzionali di lungo periodo, che rappresentano gli oltre 43.000 miliardi di dollari in termini di asset in custodia e amministrazione di State Street, e ha coinvolto anche alcuni dei principali fondi sovrani in Asia centrale, Asia orientale, Asia occidentale, Australasia e Nord America.
Ebbene, il report evidenzia come le decisioni sugli afflussi di capitale adesso tengano conto di un maggior numero di elementi, tendenza che si evince dall’approccio risk-off adottato negli ultimi mesi da chi investe in azionario, obbligazionario, valute estere e nelle decisioni di asset allocation. Un trend confermato anche dal Behavioural Risk Score di State Street, un indicatore aggregato che misura la propensione al rischio tramite i flussi di capitale e le esposizioni detenute dagli investitori istituzionali esaminando varie asset class e fattori, che a febbraio 2022 ha raggiunto territorio negativo registrando i minimi di due anni.
“Man mano che le economie di tutto il mondo emergono dal lungo periodo buio causato dalla pandemia di Covid-19, gli investitori si trovano ad affrontare una nuova serie di rischi. Attualmente, gli asset di rischio stanno assistendo a un repricing innescato dalla guerra tra Russia e Ucraina, dall’inflazione e dalle risposte di politica monetaria introdotte delle banche centrali”, sottolinea Neill Clark, responsabile di State Street Associates per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa.
“Dopo una fase di riequilibrio in chiave opportunistica e un’attività di risk-taking selettiva nel 2020, lo scorso anno gli investitori istituzionali si sono rivolti verso mercati e asset più sicuri – chiarisce Clark -. Le loro decisioni in tema di asset allocation suggeriscono che non stanno più incrementando le loro esposizioni azionarie, un trend intrapreso dal primo trimestre nel 2020, indirizzandosi piuttosto verso reddito fisso e liquidità”.
Dal nuovo report emerge che a consistenti deflussi di capitale dai mercati emergenti (percentuale più elevata degli ultimi cinque anni) corrisponde una robusta domanda di titoli appartenenti ai mercati sviluppati. “Le sfide poste dalla nuova situazione globale, caratterizzata dal conflitto internazionale e da pressioni inflazionistiche al rialzo, hanno indotto gli investitori istituzionali ad aggiustare i propri portafogli per proteggersi dal rischio”, spiega Federico Viola, responsabile sales and client coverage per Italia e Mena di State Street, che mette in evidenza anche la dinamica di investimento verso i cosiddetti private markets, a conferma di un orizzonte e di un interesse di lungo periodo di questa tipologia di investitori.
“Secondo i dati del Private Equity Index di State Street – chiarisce -, il 2021 ha infatti tutte le carte in regola per registrare la più alta raccolta di fondi di private equity in assoluto. Anche se i fondi europei continuano a mantenere un atteggiamento più conservativo nei confronti dei private asset, hanno registrato comunque lo stesso ritmo di raccolta del 2020. In Italia, partendo da dati iniziali di esposizione verso asset class alternative più contenuti, riscontriamo comunque un crescente interesse da parte degli investitori istituzionali nei mercati privati, con un accento marcato sull’impatto che questa asset class può avere sull’economia reale e con un occhio attento a profili di rischio/rendimento e diversificazione”.
“Per quanto riguarda le strategie di investimento dei fondi sovrani, si evince che la maggior parte di essi stanno intraprendendo una strategia di lungo periodo, che a volte può sostanziarsi in una posizione diversa da quella del sentiment generale”, aggiunge Duncan Bonfield, chief executive dell’Isfwf -. Ad esempio, uno dei nostri membri ha incrementato la propria esposizione all’azionario emergente man mano che il value/price gap cresceva, dal momento che questo segmento era più economico rispetto a sei mesi fa in termini di previsioni per il fair value”.
Per quanto riguarda l’universo obbligazionario, secondo il report, sui deflussi di capitale dal debito sovrano dei mercati emergenti ha pesato l’incremento dei rischi geopolitici, mentre i titoli di Stato di alta qualità dei mercati sviluppati hanno assistito ad afflussi di capitale stabili nonostante le forti pressioni inflazionistiche.
Anche il credito corporate denominato in euro e in dollari è stato oggetto di deflussi, trainati dal difficile mix tra incremento dei tassi di interesse, inflazione elevata e crescita lenta, riduzione del ritmo di acquisto di asset da parte delle banche centrali di tutto il mondo e potenziali ripercussioni per via delle sanzioni russe. Il mercato dei Treasury Inflation-Protected Security (Tips) statunitense è indubbiamente uno dei beneficiari dell’incertezza in merito al credito e dell’aumento delle pressioni inflazionistiche: ha registrato un rinnovato interesse da parte degli investitori istituzionali che si sono focalizzati sulle valute con una minor esposizione agli sviluppi del conflitto internazionale.
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