“I politici devono lavorare per noi”
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Le offerte pubbliche di acquisito (Opa) in Italia funzionano quasi solo per i delisting, consolidando quindi assetti di potere preesistenti al lancio dell’operazione. Lo evidenzia un recente studio di Consob. E per gli esperti del settore, come Filippo Annunziata, docente di diritto finanziario presso l’Università Bocconi di Milano, sarebbe bene non solo prenderne atto, ma anche avviare una riflessione sulla necessità di una armonizzazione della normativa relativa ai delisting a livello comunitario. Un aspetto quest’ultimo finora trascurato dalla Bruxelles e che, conseguentemente, alimenta una sorta di concorrenza tra i mercati. Le piazze con una via di uscita più accessibile per gli azionisti di controllo sono infatti in grado di attrarre un numero maggiore di società, rispetto alle Borse maggiormente regolamentate. “Il fatto è che la strada della Borsa non deve esser intesa a senso unico con molti incentivi all’ingresso e molti ostacoli all’uscita – considera l’esperto della Bocconi – o il rischio è quello di trovarsi numerose realtà asfittiche ancora quotate, costose Opa utilizzate per il delisting a tutela delle minoranze e la stragrande maggioranza delle società quotabili lontane dal mercato”.
Quando si parla di Opa l’immaginazione corre a vere e proprie guerre di Borsa tra più contendenti a colpi di rilanci per la conquista dell’asset. In realtà le scalate ostili avvenute tra il 2007 e il 2019 si contano sulle dita delle mani e ancora meno si sono verificate operazioni combattute. Lo evidenzia lo studio di Consob che, peraltro, ironia della sorte, è stato pubblicato proprio a ridosso di due operazioni tutt’altro che pacifiche: l’Opa di Intesa Sanpaolo su Ubi chiusa lo scorso autunno e quella del Crédit Agricole sul CreVal che, annunciata un mese e mezzo fa, dovrebbe prendere il via entro la primavera una volta che saranno rilasciate tutte le previste autorizzazioni. Nella stragrande maggioranza delle 231 operazioni prese in esame dall’autorità di controllo dei mercati, l’Opa è stata una conseguenza di un cambio di controllo a monte o semplicemente ha evidenziato la volontà degli azionisti di riferimento storici di proseguire un percorso fuori da Piazza Affari. Solo dieci offerte sono da considerarsi offerte volontarie non sollecitate finalizzate all’acquisizione del controllo. “L’Opa è uno strumento a geometria variabile che, a seconda del contesto a cui si applica produce effetti diversi. In Italia la non c’è una proprietà azionaria diffusa e di conseguenza non c’è un mercato del controllo. Quest’ultimo infatti è oggetto di contrattazione tra gruppi di comando” sostiene Annunziata.
“I dati riflettono il tessuto socioeconomico italiano dove l’azionariato è concentrato nelle mani dei soci storici o di patti di sindacato. Viste le premesse, non poteva essere altrimenti. Inutile stupirsi” Carlo Bellavite Pellegrini, docente di Finanza aziendale presso l’Università Cattolica di Milano secondo cui più che concentrare l’attenzione sulla mancanza di contendibilità del mercato italiano, sarebbe opportuno cercare di comprendere come avvicinare le imprese a Piazza Affari “il cui numero da decenni è sostanzialmente fermo”.
Secondo i dati fotografati dal paper nel periodo 2007-2019 sono state promosse 231 operazioni di cui 173 offerte di acquisto, 32 di scambio (Ops) e 44 miste (Opas). In termini di controvalore le Ops hanno rappresentato circa il 32% dell’ammontare complessivo raccolto sul mercato, mentre la dimensione media di una Ops è più che doppia rispetto a quella di un’Opa (494 milioni di euro contro 189 milioni), dato per lo più attribuibile al contributo dell’Ops di Luxottica nel 2018. La lista delle prime dieci operazioni per controvalore evidenzia che 7 su 10 sono offerte con corrispettivo in denaro. Nella maggioranza dei casi le offerte che hanno attraversato Piazza Affari tra il 2007 e il 2019 prevedevano un delisting, sia come finalità propria (offerte volontarie di revoca dalle quotazioni promosse dall’azionista di controllo) che come obiettivo “associato” al cambio di controllo avvenuto a monte. In particolare, secondo quanto accertato dal paper, negli ultimi cinque anni la finalità del delisting è passata dal 50% al 90% delle offerte.
“Questi dati paiono interessanti in considerazione dell’aumentata dimensione media delle società revocate e della circostanza che detta propensione al delisting si sia manifestata in una fase di mercato sostanzialmente non negativa” nota il paper cha ha calcolato nel 13% il premio medio corrisposto agli azionisti da queste operazioni. Stando poi all’evidenza statistica, quando è previsto il delisting vale la pena consideralo posto che “I rendimenti, sia assoluti che relativi all’indice, delle azioni oggetto di offerta evidenziano in media valori negativi: in particolare, l’extra-rendimento è pari a -5,9% nei 12 mesi successivi e a -6,8% dopo 3 anni”.