Quattro rialzi per la Fed nel 2018. I gestori: “Il falco Powell mostra gli artigli, favorire scadenze brevi”
14 giugno 2018
di LA REDAZIONE
3 min
Come ampiamente previsto, il Federal Open Market Committee (Fomc) – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve – ha alzato i tassi di interesse per la seconda volta nell’anno in corso portandoli all’1,75-2%.
Si tratta del settimo rialzo del costo del denaro dal dicembre 2015, quando fu annunciata la prima stretta dal giugno 2006. Lo ha comunicato la banca centrale Usa alla fine della sua quarta riunione del 2018, la terza con al comando Jerome Powell.
La Fed ha ripetuto che la sua politica monetaria resta “accomodante” e dunque “a sostegno delle condizioni del mercato del lavoro e di un ritorno sostenuto al target di crescita annua del 2% dell’inflazione”. L’istituto guidato da Powell ha ritoccato al rialzo le stime sulla crescita per il 2018 e ha lasciato invariate quelle per il 2019 e 2020.
In particolare, per il 2018, la Banca Centrale americana attende una crescita del prodotto interno lordo al 2,8%, contro il 2,7% di marzo. Per il 2019 la Banca Centrale americana prevede un aumento del Pil del 2,4% (invariato rispetto alla stima di marzo), un tasso di disoccupazione al 3,5% (meno del 3,6% stimato a marzo) e un’inflazione core al 2,1%, in linea con la stima precedente. Per il 2020 è attesa una crescita del Pil del 2% (anche in questo caso invariato), un tasso di disoccupazione al 3,5% (meno del 3,6% della stima precedente) e un’inflazione core al 2,1%, in linea con i dati precedenti.
Per quanto riguarda il ritmo dei rialzi di qui ai prossimi mesi e anni, la previsione mediana, come mostrano le tabelle allegate al documento finale del Fomc, è per quattro rialzi nel 2018, uno in più rispetto ai tre giri di vite anticipati in precedenza, e poi ancora tre volte nel 2019 (contro i due stimati a marzo) e solo una volta nel 2020 (a marzo aveva si era parlato di due volte).
Con la stretta annunciata ieri, la Federal Reserve ha compiuto “un altro passo” verso la normalizzazione della politica monetaria americana, ha sottolineato Powell, enfatizzando che un ritorno “graduale” a un livello dei tassi più elevato “è il modo migliore per sostenere le famiglie e le aziende”. Per il chairman della Fed l’economia Usa “sta andando molto bene” ma le decisioni della Fed non sono scelte attraverso un “pilota automatico” perché l’istituto è pronto ad adeguarsi a cambiamenti dell’andamento dell’economia, il cui outlook “resta favorevole”.
Come di consueto, raccogliamo il punto di vista dei gestori sull’evoluzione dello scenario macroeconomico globale e sulle ripercussioni sui portafogli degli investitori.
Semaforo giallo su emergenti e asset più rischiosi
Secondo Lee Ferridge, responsabile multi asset per le Americhe di State Street Global Markets e Antoine Lesné, responsabile strategia e ricerca EMEA di SPDR ETF, l’aggiunta di un quarto rialzo quest’anno lancia segnali molto precisi ai mercati e potrebbe far uscire gli orsi dal letargo.
Lee Ferridge, responsabile multi asset per le Americhe di State Street Global Markets
Ferridge: “Il Fomc ha espresso la sua volontà di intraprendere una linea più aggressiva, aggiungendo un quarto aumento dei tassi di interesse per l’anno in corso al suo outlook per il 2018. È probabile che questa decisione aggravi la situazione delle valute dei mercati emergenti.
Potrebbe inoltre offrire al dollaro un nuovo impulso rispetto alle sue controparti del G3, in quanto nelle prossime settimane i differenziali dei tassi di interesse a breve termine potrebbero ampliarsi ulteriormente, soprattutto qualora la Bce non fornisca ulteriori dettagli sulla fine del suo programma di quantitative easing in occasione del meeting di giovedì”.
Antoine Lesné, responsabile strategia e ricerca EMEA di SPDR ETF
Lesné: “La vera sorpresa è rappresentata dal “dot plot” che indicava un potenziale quarto rialzo dei tassi per il 2018, in contrapposizione con le recenti guidance del Fomc. Questo potrebbe causare un ulteriore appiattimento della curva dei rendimenti del mercato obbligazionario, ma non segnerebbe necessariamente la fine imminente del ciclo.
Tuttavia, vista la continua divergenza tra la politica monetaria statunitense e quella degli altri mercati sviluppati, il mercato potrebbe rivalutare l’impatto sugli asset di rischio. Il meeting della Bce di domani sarà ancora più importante. Nel frattempo, i flussi verso obbligazioni a scadenza più breve potrebbero continuare ad essere positivi”.
Una normalizzazione che l’economia Usa può permettersi
Per Stefan Kreuzkamp, CIO di DWS (Gruppo Deutsche Bank), in un mondo sempre più incerto “la politica monetaria americana rimane noiosamente rassicurante”.
Stefan Kreuzkamp, CIO di DWS(Gruppo Deutsche Bank)
Jerome Powell ha delineato un quadro in linea generale ottimista sulle prospettive dell’economia statunitense. E questo rispecchia pienamente anche la nostra valutazione. Nonostante i continui attriti commerciali, sia noi che la Fed prevediamo un tasso di crescita superiore a quello tendenziale almeno fino al prossimo anno. La disoccupazione sembra destinata a scendere leggermente al di sotto del tasso naturale di lungo periodo e l’inflazione dovrebbe consolidarsi vicino al tasso obiettivo della Fed.
In questo contesto, la Fed continua ad aspettarsi che il conseguimento e il mantenimento dei loro obiettivi a doppio mandato (prezzi stabili e occupazione massima sostenibile) richiederanno probabilmente di ridurre ulteriormente le politiche monetarie accomodanti e, infine, di eliminarle del tutto. Sulla base delle dichiarazioni, continuiamo ad aspettarci ulteriori graduali aumenti del tasso sui Fed Funds (leggermente al di sopra dei tassi neutrali di lungo periodo) e tagli nel bilancio.
Mercati incerti, recessione alle porte?
Per Paul Flood, gestore multi asset income di Newton IM (gruppo BNY Mellon IM), i mercati sembrano muoversi in senso inverso rispetto alla visione della Fed secondo cui tutto starebbe andando per il meglio.
Paul Flood, gestore multi asset income di Newton IM(gruppo BNY Mellon IM)
Anche se la Fed ha aumentato i tassi dello 0,25% come da previsioni, i mercati sono stati spaventati dal nuovo dot plot, vale a dire dalle intenzioni sul percorso futuro dei tassi che indicano un ritmo più elevato dei rialzi rispetto a quanto atteso in precedenza.
Con il tasso di disoccupazione ai livelli più bassi dal 1969 e i tagli alle imposte per 1.500 miliardi di dollari, la previsione è che l’economia statunitense continui a crescere a un passo sostenuto. Per questo la Fed ha indicato altri 2 rialzi dello 0,25% entro la fine dell’anno. I mercati azionari hanno quindi perso terreno negli USA e in Asia. Tuttavia, la curva dei rendimenti obbligazionari si è appiattita, suggerendo la previsione di un rallentamento dell’economia.
Il mercato obbligazionario sembra muoversi in contrasto rispetto alla visione della Fed secondo cui tutto starebbe andando per il meglio; il mercato dei future indica già un andamento più lento dei rialzi dei tassi d’interesse rispetto a quanto indicato dalla Federal Reserve. Il prossimo passo spetta alla Bce e quindi alla Banca Centrale del Giappone, che potrebbero sorprendere i mercati se dovessero spingere per la fine dei programmi di QE.
Come ampiamente previsto, il presidente della Fed Jerome Powell – alla seconda riunione del 2018 – lascia i tassi all'1,5-1,75%. Occhi puntati sulla riunione del 13 giugno, ma secondo i fund manager l’inversione di tendenza fa già capolino nei mercati.
I rendimenti del decennale USA sono saliti al di sopra della soglia simbolica del 3% per la prima volta dall’inizio del 2014. Eliezer Ben Zimra, bond manager del gruppo svizzero, spiega quali sono gli strumenti obbligazionari meglio equipaggiati per far fronte a un contesto di tassi d’interesse in aumento.
Comincia l’era di Jerome Powell, che alza i tassi dei fondi interbancari portandoli tra l'1,50% e l'1,75%. Per ora l’agenda del 2018 non cambia, ma si prevedono strette “graduali ma più ampie” fino al 2020. Le reazioni dei gestori.
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