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In un mondo attraversato da diverse “transizioni”, l’interrogativo è in quale modo i portafogli debbano accogliere le trasformazioni in corso e posizionarsi per affrontare i rischi connessi alle fasi intermedie di tali passaggi
Una pandemia senza precedenti, tensioni geopolitiche, spostamenti degli equilibri di potere. Cosa sta succedendo nel mondo e in che modo i portafogli devono accogliere i cambiamenti in corso? Il tema è stato al centro della conferenza “La geopolitica del cambiamento: clima ambiente e investimenti” nel corso del Salone del Risparmio, in cui è emerso, plasticamente, che in una fase di cambiamenti epocali come quella che stiamo vivendo e che vivremo nei prossimi anni la costruzione di portafoglio deve adeguarsi.
“Mai sprecare una buona notizia”, ha esordito Paolo Magri, vice presidente Esecutivo dell’Ispi e docente di Relazioni Internazionali all’Università Bocconi. “La buona notizia – prosegue – è rappresentata dalla transizione energetica e gli sforzi per contrastare il cambiamento climatico. Nel giro di alcuni anni siamo parlati alle parole inascoltate dell’ex vice presidente Usa Al Gore alle parole, molto ascoltate, dell’attivista Greta Thunberg, e stiamo vedendo il passaggio dalle parole ai fatti”.
Magri ha sottolineato tuttavia che ogni transizione è connotata da una fase di instabilità. Soprattutto considerando che quella energetica non è l’unica transizione, ma si aggiunge a una serie di altre transizioni: “quella degli equilibri di potere globali, che si traduce nella competizione tra Occidente e Asia, tra Paesi avanzati ed emergenti, tra democrazie e regimi; e la transizione tecnologica”. In un contesto di cambiamenti così accentuati, instabilità e incertezza potranno essere un po’ più alte nei prossimi anni.
Quali sono le fonti di questa instabilità? Innanzitutto il fatto che, nella traiettoria verso l’obiettivo di salvare il pianeta – che è certamente un traguardo “win-win” – ci saranno fasi intermedie in cui emergeranno vincitori e vinti. Tra i perdenti ci saranno alcuni Paesi (quelli che producono petrolio, o quelli in fase di sviluppo intermedio che inquinano per poter produrre a costi inferiori). E settori perdenti: “non solo oil e carbone, ma anche trasporti, edilizia, agroalimentare. Avere adesioni convinta delle lobby di queste settori non sarà facile”, argomenta Magri. E non solo: anche i consumatori possono essere perdenti, perché saranno posti di fronte a scelte quotidiane difficili nei prossimi anni, tra scelte ecologiche più costose e meno costose ma meno eco-friendly.
Da qui Magri vede anche dei piccoli rischi di bolla sui prodotti green. Qualche rischio inoltre si potrà vedere anche in finanza, nel caso in cui i governi facciano troppo, spingendo molto sulla riduzione delle emissioni senza tener conto dei settori perdenti, che quindi potrebbero avere extra-costi e problemi seri nei prossimi anni; ma anche nel caso in cui facciano troppo poco, e si creino eventi naturali devastanti.
Un’ulteriore area di attenzione riguarda la geopolitica. L’obiettivo di lungo termine – salvare il pianeta – richiede l’intervento di tutti. Serve cooperazione e dialogo tra grande potenze. Ma questo fenomeno si interseca con la transizione di potere e le tensioni già citate.
“La sintesi è che il bicchiere è mezzo pieno perché c’è una condivisione di lungo termine che prima non c’era, ma non stupiamoci se ci fossero degli stop and go e gli obiettivi dovessero rivelarsi altalenanti”, afferma Magri.
Il quadro dipinto dall’esperto dell’ispettrice ovviamente ha delle conseguenza di natura finanziaria, sulle quali ha riflettuto Craig MacKenzie, head of Strategic Asset Allocation Research di Aberdeen Standard Investments, soffermandosi sulle conseguenze in termini di costruzione dei portafogli. “Molti miei colleghi fino a poco tempo fa non pensavano che il cambiamento climatico fosse un rischio per i portafogli ma da cinque anni tutto questo è cambiato. In qualità di investitori noi dobbiamo decidere in modo quantitativo come modificare i nostri portafogli per far fronte a questi rischi”, dichiara MacKenzie.
Le buone notizie ci sono: l’impegno della Cina nella politica delle emissioni net zero entro il 2060; il fatto che Donald Trump, uno scettico del cambiamento climatico, è stato sostituito da Joe Biden. I progressi dell’Europa, che sta rafforzando i propri obiettivi. “Adesso siamo davvero convinti che ci sarà una transizione energetica sostanziale”, commenta MacKenzie.
L’impatto sarò diverso sui diversi settori, ma sicuramente ci saranno cambiamenti dirompenti nel modo in cui produrremo, ci sposteremo e vivremo. “E questo inizia a vedersi nel prezzo delle azioni: i leader nelle tecnologie ambientali hanno avuto performance eccezionali, a testimonianza del fatto che gli investitori come me si stanno spostando l’allocazione allontanandosi dai perdenti e muovendosi verso i vincitori”, aggiunge l’esperto di Aberdeen, lasciando passare il messaggio che i portafogli che prendono forma in questa fase sono sempre dei portafogli “anti-CO2”. Ma questo significa che siamo in una bolla “green”? Per MacKenzie abbiamo bisogno di una metodologia per valutare se le buone notizie sono già tutte prezzate in queste performance stellari, sulla base di un modello che consideri i vari scenari legati al ritmo del cambiamento climatico e alle risposte della politica, e i differenti impatti sui diversi settori. Questo modello è applicato da Aberdeen per identificare opportunità e rischi nei vari settori e valutare quanto il prezzo delle azioni esprima il loro potenziale futuro.
“Attualmente l’azionariato è dominato pesantemente dai mercati sviluppatori – Usa, Giappone ed Europa – però vediamo nei prossimi anni una parte importante dei mercati in via di sviluppo: una parte importante degli investimenti per ridurre le emissioni dovrà avvenire in particolare in Asia”, commenta MacKenzie, aggiungendo che se si vogliono sfruttare tali opportunità occorre aumentare l’allocazione ai mercati emergenti.
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