Dopo Bce e Fed, anche BoE e BoJ danno il loro contributo alle due settimane di colpi di scena dei policy maker. Tra pause inattese e cambi di passo, tutte le novità più importanti e come evolve la view dei gestori. Con un dubbio su tutti: sarà soft o hard landing?
Non hanno smesso di regalare colpi di scena le due settimane all’insegna delle banche centrali appena vissute dai mercati finanziari. Neppure dopo gli exploit di Christine Lagarde e Jerome Powell. Oltre alla Banca centrale europea (Bce), artefice del decimo rialzo consecutivo dei tassi Ue, e alla Federal Reserve (Fed), che ha confermato la pausa tanto attesa ma in una chiave decisamente più ‘hawikish’ del previsto, a riservare sorprese si sono infatti aggiunte anche la Bank of England (BoE) e la Bank of Japan (BoJ). L’una ha i risparmiando gli investitori da un taglio che pareva quasi scontato, l’altra ostinandosi a condurre una politica ultra accomodante nonostante i segnali provenienti dell’economia del Sol levante facciano pensare a tutt’altre necessità. Due mosse che contribuiscono ad arricchire un quadro già prima complesso, rispetto al quale i gestori appaiono divisi tra chi intravede una recessione e chi ancora confida nella possibilità di soft landing.
Usa, picco dei prezzi nel 2023 e poi calo. L’Europa insegue
L’atteso dot plot, il grafico che ogni tre mesi raccoglie le previsioni dei membri della Fed sull’andamento dei tassi, ha mostrato come in dodici vedano un’altra stretta di 25 punti base nel 2023 contro sette che puntano invece sullo status quo. I banchieri centrali, in sostanza, si aspettano un valore mediano dei tassi al 5,6% per l’intero anno in corso. Ecco perché hanno mantenuto il costo del denaro all’attuale 5,25%-5,5% ma portando al 5,1% dal 4,6% l’attesa per il dato del prossimo anno. Questo significa che l’istituto mette in conto un taglio di 50 punti base nel 2024, contro la sforbiciata di 100 punti prevista a giugno. La stagione del calo vero slitta così al 2025: in questa finestra temporale il costo del denaro è visto in calo al 3,9% dal 3,4% della precedente previsione, per poi arrivare al 2,9% nel 2026. Nel lungo periodo la stima è la stessa di tre mesi fa: 2,5%.
Dinamica simile per la Bce, che si conferma un passo indietro nel sentiero di normalizzazione dell’economia. Il board di Francoforte ha infatti deciso un ulteriore aumento dello 0,25%, cifra che fa raggiungere il massimo storico del 4,5%, e non ragionerà di una pausa prima del prossimo meeting. A contribuire alla decisione, sono state anche le nuove stime al ribasso sui prezzi e sulla crescita. La nuova previsione di carovita formulata da Bruxelles è infatti del 5,6% per il 2023 e del 3,2% per il 2024 come effetto “dell’evoluzione più sostenuta dei costi dell’energia”. Quanto al Pil, le proiezioni correnti parlano di un +0,7% nel 2023, di un +1,0% nel 2024 e di un +1,5% nel 2025.
Anche la Boe prende fiato. Mentre la BoJ persiste
A sorpresa, dopo 14 rialzi consecutivi, anche la BoE ha deciso giovedì di lasciare il costo del denaro inalterato: 5,25% contro le attese dei mercati per un ulteriore ritocco di un quarto di punto. E decisivo pare essere stato il dato sull’inflazione di agosto, che alla viglia del meeting ha ridato forza agli argomenti dei membri più dovish segnalando un inaspettato rallentamento dei prezzi. Una parentesi che, tuttavia, sembra destinata a non durare. “L’inflazione è scesa molto negli ultimi mesi e pensiamo che continuerà a farlo, ma non c’è spazio per l’autocompiacimento”, ha infatti commentato prontamente il presidente Andrew Bailey. Che aggiunto: “Dobbiamo essere sicuri che ritorni alla normalità e continueremo a prendere le decisioni necessarie per raggiungere questo obiettivo”.
Di tutt’altro avviso i suoi colleghi giapponesi, che ieri hanno deciso di proseguire sulla via della politica monetaria ultra-accomodante. Per cercare stimolare a tutti i costi un’economia stagnante, il comitato di politica monetaria dell’istituto guidato da Kazuo Ueda ha lasciato i tassi di interesse a breve termine a -0,1% e quelli a lungo termine a zero. Confermata anche la politica di controllo della curva dei rendimenti, che consente ai rendimenti dei bond governativi di fluttuare in una banda di oscillazione fissa fra il -0,5% ed il +0,5%. Una mossa cui si aggiunge mantenere attive anche le misure di quantitative easing, con l’impegno ad acquistare anche Etf e titoli immobiliari per importi rispettivamente pari a 12 trilioni e 180 miliardi di yen. “Il Giappone è cresciuto moderatamente ma il ritmo della ripresa oltreoceano ha invece rallentato, condizionando le esportazioni e la produzione industriale, che sono rimaste più o meno piatte, grazie anche all’attenuazione dei vincoli alle catene di approvvigionamento”, ha spiegato il board. Che aggiunto: “Sul fronte dell’inflazione, il tasso di aumento su base annua dell’indice dei prezzi al consumo è stato più lento rispetto a qualche tempo fa ma le aspettative hanno mostrato nuovamente alcuni movimenti al rialzo”.
Hard o soft landing? Gestori divisi
Francesco Sandrini, responsabile delle Strategie Multi-Asset di Amundi
Tutte novità, quella arrivate dai policy maker globali, che aggiungono variabili alla già complessa equazione del quadro macro. Tanto da ampliare le divisioni tra gli esperti soprattutto su un tema: la crescita economica.
Francesco Sandrini, responsabile delle Strategie Multi-Asset di Amundi, ritiene che il quadro disegnato dalla Fed sia realistico. Intervistato dalla redazione di FR|Vision, il manager ha sottolineato come le incognite all’orizzonte siano ancora molte: “Negli ultimi mesi abbiamo visto una crescita americana ancora piuttosto solida ma il meccanismo di trasmissione della politica monetaria di norma può impiegare più tempo rispetto a quanto inizialmente stimato”.
Tiffany Wilding, Us economist di Pimco
Per Tiffany Wilding, north american economist di Pimco “gli effetti positivi della pandemia, tra cui l’elevato livello di risparmio delle famiglie, si stanno esaurendo e questo fattore sta probabilmente allungando i tempi di intervento della politica monetaria ma senza eliminarli”. “Le condizioni di credito sono rigide e i costi di indebitamento per le imprese appaiono più elevati. Prevedo che le conseguenze di questa situazione si accumulino nel tempo, man mano che il debito viene ridefinito a questi nuovi tassi più elevati”, ha aggiunto. Senza tuttavia sbilanciarsi sull’ipotesi di una frenata brusca o di un dolce rallentamento: “Riteniamo che la probabilità di recessione sia un ‘testa o croce’.
Un rallentamento globale dell’economia è anche nelle prospettive del team di Anima, che pone però l’attenzione sulle diverse velocità con cui il fenomeno avverrà. “Negli Stati Uniti, nonostante l’inflazione si mantenga vischiosa, la crescita è ancora solida e i risparmi in eccesso accumulati dalle famiglie durante la pandemia non sono stati erosi”, ha detto la società. L’esatto contrario di quello che l’azienda vede di Europa: “L’Eurozona sta andando incontro alla recessione e a un allentamento delle pressioni sui prezzi”. A metà del guado sembra trovarsi invece la Cina, dove continua l’indebolimento dell’attività produttiva.
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