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Abbandonata la retorica della “pazienza”, sono arrivate indicazioni su politiche più espansive. I mercati scontavano già una riduzione dei tassi. L’inasprimento della trade war ha fatto il resto
L’ultima riunione della Fed ha confermato ciò che molti investitori si aspettavano, cioè il probabile passaggio a una politica più accomodante, attraverso una combinazione di espansione di bilancio e taglio dei tassi. “Durante la conferenza stampa, c’è stata una chiara indicazione della combinazione tra forti correnti incrociate e le crescenti preoccupazioni circa il tasso d’inflazione troppo basso, che dovrebbero giustificare politiche maggiormente accomodanti da parte della Fed”, hanno spiegato gli esperti di Unigestion.
In effetti, le pressioni in questa direzione sul presidente della Fed, Jerome Powell, iniziavano a essere piuttosto consistenti, soprattutto dopo le indicazioni di Draghi su nuove mosse espansive da parte della Bce. “Powell si è probabilmente già sentito messo all’angolo quando i mercati hanno prezzato aggressivi tagli dei tassi e la trade war tra Cina e Usa ha messo alla prova la fiducia degli investitori, e, come se non bastasse, il presidente della Banca Centrale Mario Draghi ha aumentato le pressioni per ulteriori azioni”, commenta Nick Wall, co-gestore del fondo Merian Strategic Absolute Return Bond di Merian Global Investors.
Wall spiega che se la Fed avesse assunto un atteggiamento meno accomodante, il dollaro avrebbe preso a correre e le differenze di rendimento tra tassi Usa, europei e giapponesi sarebbero state così ampie da far affluire enormi quantità di capitali verso i fondi che investono nel mercato monetario statunitense, privando il resto del mondo della principale valuta di finanziamento globale. “Ciò è rilevante dato l’accumulo di debito denominato in dollari nei mercati emergenti a partire dalla crisi”, argomenta Wall, citando anche l’effetto collaterale di una pressione al ribasso sul remimbi.
A fare pressioni sulla Fed, come accennato, sono intervenuti anche i mercati obbligazionari. “Nelle ultime settimane hanno inviato chiari segnali, soprattutto sul mercato dei Fed Fund futures. Si stanno prezzando tra i due e tre tagli dei tassi entro la fine dell’anno – aggiunge Stefan Kreuzkamp, chief investment officer di Dws – Nelle ultime settimane la Fed ha fatto ben poco per contrastare queste aspettative del mercato. Anzi, è vero il contrario, con i commenti di alcuni membri che hanno alimentato queste aspettative”. Se la Fed non avesse indicato la possibilità di un atteggiamento più espansivo, la delusione avrebbe prodotto un impatto negativo a breve termine sui mercati azionari e obbligazionari, con l’effetto di portare a condizioni di finanziamento più impegnative per le imprese, un indicatore importante anche per la Fed.
E adesso? “Ci aspettiamo che l’easing della Fed inizi a luglio, con riduzioni dei tassi più nette e veloci qualora i dati si deteriorassero al ritmo attuale”, argomenta Salman Ahmed, chief investment strategist di Lombard Odier IM. Nel commentare l’abbandono della posizione “paziente” da parte della Fed, Ahmed ha sottolineato che l’enfasi politica si è spostata verso le deboli pressioni inflazionistiche, “fattori che lasciano la porta chiaramente e fermamente aperta ad un allentamento monetario. Il presidente Powell ha ribadito che l’obiettivo chiave della Fed è quello di sostenere l’espansione economica degli Stati Uniti”, precisa Ahmed, secondo cui “i rendimenti a livello globale probabilmente subiranno una pressione al ribasso fino a quando non emergeranno pressioni inflazionistiche”.