A settembre l’indice dei prezzi è salito dell’8,2%, oltre le attese. Il mercato dà per scontato un altro aumento di 75 pb a novembre. Georgieva (Fmi): “Rischio recessione in aumento, ma avanti con la stretta”. La view dei gestori
Gli swap ormai lo danno per scontato: la Fed alzerà i tassi nuovamente dello 0,75% nella riunione di novembre. La conferma è arrivata dall’inflazione di settembre, che pur rallentando rispetto al +8,3% di agosto, resta a livelli decisamente elevati: +8,2%, sopra le attese degli analisti che scommettevano su un +8,1%. Su base mensile l’aumento è stato dello 0,4%, anche in questo caso oltre il +0,2% previsto.
Non solo. L’inflazione core, quella al netto dei beni energetici e alimentari sorvegliata speciale della banca centrale Usa, è schizzata ai massimi da 40 anni, aumentando su base mensile dello 0,6%, oltre il consensus. Su base annuale l’incremento è stato del 6,6%.
Il mercato ha dunque preso atto che Powell e colleghi non ammorbidiranno la cura da cavallo anti-inflazione come sperato. Dopo la pubblicazione del dato, i listini europei, tutti in rialzo e con Milano a guidare i guadagni, hanno subito virato in ribasso. In forte calo i future di Wall Street mentre il dollaro ha ripreso la sua corsa. Pesante anche la reazione dei Treasury, con i rendimenti del trentennale che sono schizzati al 4%, ai massimi dal 2011. Giù invece il petrolio per i timori di una recessione.
Come si diceva, ora i future sui Fed Funds attribuiscono un 97,8% di possibilità a un rialzo dei tassi di 75 punti base al 3,75%-4% nella prossima riunione. Mercoledì la percentuale era all’84,5%. Le probabilità di una stretta da un intero punto percentuale sono invece del 2,2%.
Georgieva (Fmi): “Rischio recessione in aumento, ma avanti con il rialzo dei tassi”
Pieno appoggio alla Fed falco è arrivato anche dalla direttrice generale del Fmi, Kristalina Georgieva, che ha definito l’inflazione “tassa sui più deboli”. “È la priorità da affrontare: credo che ci sia molto che si può fare per affrontare il caro-vita con gli strumenti di politica monetaria”, ha detto, precisando che senza stabilità dei prezzi si mette a rischio l’economia.
Un’economia che fa fatica in tuto il mondo, tanto che lo stesso Fmi ha appena tagliato le stime di crescita globali. “L’economia mondiale è stata colpita da uno shock dietro l’altro. L’incertezza resta eccezionalmente alta: ci sono 25% il chance che la crescita mondiale possa calare sotto il 2% il prossimo anno”, ha sottolineato la Georgieva, avvertendo che la politica di bilancio e quella monetaria devono procedere mano nella mano: quando la politica monetaria mette un freno, la politica di bilancio non deve premere sull’acceleratore. “Serve un’azione decisa contro il caro-vita. L’aumento dei tassi d’interesse provoca un costo in termini di crescita, ma non alzare i tassi a sufficienza provocherebbe danni maggiori”, ha scandito.
“Non combattere la Fed”
David Riley, chief investment strategist di BlueBay Am
“Il rapporto odierno è poco confortante per gli investitori e per la Fed”, commenta David Riley, chief investment strategist di BlueBay Am, secondo cui anche escludendo l’aumento dei costi degli alloggi, indicatore tardivo di un mercato immobiliare che si sta raffreddando sotto la pressione dell’aumento dei tassi ipotecari, i prezzi dei servizi sono in crescita e sono più alti del 6,8% rispetto a un anno fa. “Molti avevano sperato che, con la ripresa delle catene di approvvigionamento interrotte dalla Covid, l’inflazione dei beni sarebbe scesa costantemente, ma sembra essere bloccata intorno al 7%”, evidenzia.
Per Riley, i dati di oggi sull’inflazione, che fanno seguito al rapporto sui salari di venerdì scorso rivelatosi più solido del previsto, suggella la possibilità di un quarto rialzo consecutivo dei tassi di 75 punti base nella prossima riunione del 2 novembre. “A seguito del rapporto sull’inflazione, gli investitori stanno alzando le loro aspettative sul punto di arrivo dei tassi della Fed vicino al 5% nella prima metà del prossimo anno e i rendimenti dei Treasury stanno aumentando su tutta la linea, mentre le azioni stanno crollando a nuovi minimi. Questa sofferenza per Wall Street è purtroppo un’anticipazione di quella che vivrà Main Street, in quanto l’inflazione persistente manterrà i tassi di interesse più alti più a lungo”, avverte.
D’altra parte anche le minute dell’ultima riunione del Fomc del 20 e 21 settembre confermano l’intenzione della banca centrale americana di proseguire sulla linea dura dei rialzi per riportare l’inflazione all’obiettivo del 2%. “I verbali della riunione del Fomc di settembre continuano a riflettere le istanze di un comitato di falchi – osserva Jason England, gestore di portafogli obbligazionari globali di Janus Henderson -. Sebbene ad un certo punto i partecipanti si aspettino un rallentamento del ritmo degli aumenti dei tassi, ciò non deve essere interpretato come una svolta dovish”.
Il gestore, infatti, sottolinea che anche se ‘diversi partecipanti’ sono preoccupati per l’incertezza dell’economia globale e per gli effetti negativi che un continuo inasprimento della politica monetaria potrebbe avere sulle prospettive dell’economia, ‘molti partecipanti’ ritengono che i costi di un inasprimento insufficiente siano superiori a quelli di un inasprimento eccessivo. “Questo ci riporta al vecchio mantra ‘Non combattere la Fed’”, conclude England.
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