Il dato di giugno sale oltre le attese al 9,1%, record dal 1981. Euro sotto la parità sul dollaro. Gli investitori si aspettano un aumento dei tassi di 75 pb a luglio e un’ulteriore stretta a settembre
Only the brave. Dopo l’ennesimo record dell’inflazione Usa, che ha strappato al rialzo oltre le previsioni, i mercati globali sono diventati un posto adatto solo a chi ha cuore e nervi saldi. A giugno, i prezzi al consumo sono infatti saliti del 9,1% su base annua, oltre le stime che già prevedevano un rialzo all’8,8% dall’8,6% di maggio. Un picco mai registrato da quarant’anni, dal novembre del 1981, mentre su base mensile l’aumento è stato dell’1,3%, il maggiore dal 2005 a causa dei rincari di benzina, alloggi e alimentari.
In particolare, il dato ‘core’, sorvegliato speciale della Fed, è schizzato del 5,9%, dopo il +6% del mese precedente, mentre le attese erano per un +5,7%. I prezzi del settore alimentare e quelli energetici hanno registrato rispettivamente, su base mensile, un aumento dell’1% e del 7,5%. Nell’ultimo anno, l’energia è schizzata del 41,6% e gli alimentari del 10,4%, i dati più alti, rispettivamente, dall’aprile 1980 e dal febbraio 1981.
Immediata la reazione dei mercati, con gli indici europei e Usa in rosso e il dollaro che si rafforza ulteriormente, facendo sprofondare l’euro sotto la parità per la prima volta dal 2002 (salvo poi risalire).
Il perché è evidente a tutti: il dato di giugno era atteso per cercare di prevedere le mosse della Federal Reserve e, con un’inflazione a questi livelli, Powell e colleghi non potranno che proseguire sulla strada dei maxi rialzi dei tassi d’interesse. Nell’ultima riunione, la Fed ha aumentato il costo del denaro di 75 punti base, una mossa da falco mai più vista dal 1994, e gli analisti si attendevano un ulteriore incremento per fine luglio tra mezzo e tre quarti di punto. Ora invece, alla luce dei dati, Powell procederà quasi certamente con un aumento di 75 pb questo mese e con un’ulteriore stretta a settembre.
D’altra parte gli appelli a fermare la folle corsa dei prezzi arrivano da ogni parte. L’ultima, in ordine di tempo, è stata Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fmi, che rivolgendosi direttamente alle banche centrali in vista del G20 dei ministri finanziari e dei governatori ha affermato come si necessario fare il “possibile per far calare l’inflazione”. “Molte banche centrali dovranno continuare con strette decise della loro politica monetaria. Agire ora farà meno male che agire più avanti”, ha avvertito, aggiungendo che alla politica di bilancio tocca intanto “aiutare gli sforzi delle banche centrali per far scendere l’inflazione”.
Silvia Dall’Angelo, senior economist di Federated Hermes
“Il dato negli Stati Uniti rafforza la nostra opinione in base alla quale l’inflazione rimarrà probabilmente invischiata su questi livelli elevati per tutto l’anno, dato che le pressioni sui prezzi, sia dall’estero che sul mercato interno, continua a travasare sui prezzi al consumo”, commenta Silvia Dall’Angelo, senior economist di Federated Hermes, secondo cui sebbene la maggior parte dei prezzi delle materie prime sia calata nell’ultimo mese, si tratta di prezzi pur sempre elevati ed ancora vulnerabili agli shock dell’offerta potenzialmente derivanti da sviluppi geopolitici avversi.
“Inoltre – osserva la Dall’Angelo -, i precedenti rialzi delle materie prime energetiche ed agricole continueranno ad esercitare pressioni al rialzo sui prezzi al consumo dei generi alimentari e dei servizi di trasporto nel corso dei prossimi mesi. Nel frattempo, lo spostamento della domanda dai beni durevoli in direzione dei servizi, in particolare il tempo libero, eserciterà pressioni al rialzo sull’inflazione dei servizi durante i mesi estivi, in un contesto di mercato del lavoro rigido”.
La senior economist di Federated Hermes resta comunque convinta che la domanda si raffredderà nel corso della seconda metà dell’anno e in modo ancora più significativo nel corso del 2023, a causa dell’inflazione da costi che riduce i redditi reali e della stretta fiscale e monetaria. “Questo, insieme alla stabilizzazione dei prezzi dell’energia e all’allentamento dei vincoli dell’offerta su scala globale, dovrebbe far scendere rapidamente l’inflazione l’anno prossimo, anche se rimarrà comunque al di sopra del target della Fed, dato l’alto punto di partenza”, chiarisce.
Per quanto riguarda le implicazioni di politica monetaria, il dato di oggi secondo la Dall’Angelo non fa che rafforzare l’ipotesi di un rialzo dei tassi di 75 punti base in occasione del prossimo meeting della Fed. “I solidi dati sull’occupazione a giugno, pubblicati venerdì, puntavano già in questa direzione. Un’elevata inflazione insieme ad un mercato del lavoro rigido possono essere ingredienti esplosivi, potenzialmente in grado di provocare effetti di secondo round oltre che un consolidamento dell’inflazione stessa. È probabile che la Fed ricorra ad una retorica hawkish e ad un’ulteriore accelerazione della stretta almeno fino ad autunno inoltrato, per cercare di mantenere la sua stessa credibilità”, conclude.
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