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L’aumento dei prezzi dei generi alimentari è uno dei trend più forti da inizio anno. L’indice FAO che ha raggiunto il suo massimo storico nel marzo 2022, attestandosi a 159,3 punti con un aumento di più del 17% in un solo mese. “Abbiamo visto come il conflitto tra Russia e Ucraina abbia esacerbato l’instabilità alimentare. Ma ci sono molti altri fattori che sono entrati in gioco, tra cui la pandemia, l’aumento della domanda da parte di popolazioni in crescita e gli eventi meteorologici estremi. Le implicazioni sono significative, in quanto i Paesi importatori netti di cibo si trovano ad affrontare l’insicurezza alimentare che può portare a un aumento della fame e della denutrizione, nonché a un incremento della disuguaglianza e della povertà a livello globale. I problemi di sicurezza alimentare tendono ad avere un impatto sproporzionato sui poveri, che possono spendere più della metà del loro reddito in cibo”. Todd Petersen, fund manager del team di debito dei mercati emergenti di PGIM Fixed Income e responsabile del debito sovrano in Africa e Medio Oriente, monitora nel dettaglio la situazione con costanti simulazioni degli effetti sugli asset dei differenti scenari all’orizzonte.
Quali sono, nello specifico, le implicazioni di mercato dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari?
In questo momento ci troviamo in un mondo di condizioni finanziarie più rigide che determinano effetti sui redditi disponibili, un cuscinetto molto più basso nei Paesi più poveri. Questo nuovo paradigma mette a rischio i Paesi che hanno necessità di rifinanziare un grande stock di debito. Per ora la preferenza degli investitori si concentra su chi ha un fabbisogno finanziario minore.
Gli esportatori sono i vincitori nel breve termine, perché, Paesi come Angola e Arabia Saudita, che hanno ora un guadagno in termini di entrate petrolifere, possono permettersi di pagare i maggiori costi alimentari. Per quanto i rischi e la volatilità sui mercati siano indubbiamente presenti, si aprono alcune opportunità per posizionarsi su Paesi che valutiamo positivamente nel medio termine ma che al momento possono vivere momenti di difficoltà.
Dal punto di vista del posizionamento, si cerca di evitare i Paesi più suscettibili a un ambiente in cui il contesto macro continuerà a essere difficile, tenendo ben presente che l’effettivo trasferimento degli aumenti nei prezzi dei prodotti alimentari non è ancora avvenuto. Le banche centrali, la Fed in particolare, continuano ad aumentare i tassi di interesse e dobbiamo essere preparati a sfide continue.
Quali sono i Paesi che state monitorando più da vicino?
Il passato dimostra che cercare di prevedere quale sarà il punto di svolta in alcuni dei Paesi emergenti è un esercizio fuori portata. In Libano, si trattava di una tassa su WhatsApp; in Egitto, sapevamo di pressioni sui prezzi del cibo, ma non avevamo previsto la Primavera araba. Nessun tipo di crisi è esattamente uguale al passato, ma possiamo identificare i fattori di rischio.
Teniamo sotto controllo la situazione della Tunisia e di altri Paesi, ma non sappiamo se le pressioni finanziarie su Paesi come il Ghana, la Nigeria o il Kenya sfoceranno in disordini sociali. Soprattutto perché alcune di queste Nazioni stanno entrando in un ciclo elettorale. Elemento che rafforza la necessità di posizionarsi in modo prudente.
Nel lungo periodo, ciò che dobbiamo ricercare è, però, una crescita sostenibile nel tempo e dunque un’esposizione su quei Paesi che stanno diversificando i fattori di crescita e investendo fortemente nell’istruzione. Molti di questi fattori qualitativi che guideranno la crescita strutturale e il miglioramento dei fondamentali richiedono tempo. L’istruzione è qualcosa che necessita generazioni per realizzarsi.
Come investitori il nostro compito è bilanciare la suscettibilità ai disordini nel breve periodo con il potenziale di crescita a lungo termine. Ci preoccupiamo certamente delle esigenze di finanziamento di un Ghana o di un Kenya, ma si tratta di Paesi che, a mio avviso, offriranno grandi opportunità a medio termine, perché dovrebbero, tra i vari aspetti positivi, essere grandi destinazioni di investimento.
Quanto sta accadendo ha notevoli implicazioni in termini di valutazione di sostenibilità, da vari punti di vista. Una situazione che richiede grande approfondimento per un’industria della gestione sempre più attenta a questo ambito.
In fin dei conti, si deve cercare di trovare un equilibrio tra il non punire i Paesi che hanno le materie prime come preponderante fonte di reddito, in modo da consentire loro l’opportunità di crescere e diversificarsi. Credo che molti di questi Stati negli ultimi anni abbiano davvero recepito il messaggio. Vediamo sempre più chiaramente una crescente considerazione per l’impatto del cambiamento dell’ambiente, delle pressioni alimentari e di altri fattori direttamente legati allo sviluppo sostenibile. Paesi come il Gabon o il Congo hanno fatto molto per proteggere le loro foreste, ad esempio. A volte questo aspetto viene sottovalutato perché ci concentriamo solo sulle cose negative.
Sono considerazioni, queste, molto importanti. In chiusura, potrebbe riassumere i punti chiave di questa discussione?
Ritengo che sicurezza alimentare e inflazione dei prezzi alimentari siano un rischio globale da monitorare. Non credo che lo eviteremo. E penso che la sfida possa farsi ancora più dura nel 2023. I mercati emergenti sono i più colpiti, ma i mercati emergenti sono grandi e ciò che un investitore deve considerare è l’immensa diversità tra questi paesi a livello di credito. E questo, chiaramente, significa diversità nelle opportunità di investimento.
Per approfondire la discussione si rimanda al podcast di PGIM Fixed Income della Serie Fixed on Esg: