Trade war, non scappate dall’azionario
La guerra dei dazi sta mettendo a dura prova gli investitori. Ma la qualità vince sempre. L’analisi di Flossbach von Storch
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A seguito di un’ulteriore escalation nello scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina, venerdì l’S&P 500 ha chiuso in ribasso del 2,6%. Le azioni globali sono scese del 2,1% e i rendimenti dei Treasury statunitensi sono calati di almeno 8 punti base su tutte le scadenze. All’inizio della giornata Pechino ha annunciato l’intenzione di imporre nuovi dazi su 75 miliardi di dollari di merci americane. Alcune di queste misure entreranno in vigore il 1° settembre, tra cui una tariffa aggiuntiva del 5% sui semi di soia e sul petrolio greggio provenienti dagli Stati Uniti. Inoltre, il 15 dicembre la Cina ripristinerà la tassa alla dogana del 25%, precedentemente sospesa, sulle auto statunitensi, applicando un ulteriore 10% su alcuni veicoli.
Questo calendario coincide con quello delle nuove tariffe americane sulle importazioni cinesi annunciate di recente. Tuttavia, non è stato questo il catalizzatore del ribasso di mercato, assicura Mark Haefele, global chief investment officer Gwm, Ubs Ag, sottolineando come, alle 11.00, l’S&P 500 mostrava ancora un andamento piatto rispetto all’apertura. Le vendite sono cominciate dopo una serie di tweet in cui il presidente Donald Trump ha dichiarato che nel corso della giornata sarebbe arrivata la risposta degli Stati Uniti al comunicato cinese. Dopo la chiusura del mercato, il presidente ha annunciato via Twitter un aumento dei dazi dal 25% al 30% sui 250 miliardi di dollari di prodotti già tassati, a partire dal 1° ottobre, e una tariffa del 15%, anziché del 10%, sui restanti 300 miliardi di merci ancora esenti.
“Il nostro scenario di riferimento prevedeva una leggera escalation sotto forma di ritorsioni proporzionali da parte di Pechino entro il 1° settembre, in linea con le misure annunciate venerdì – osserva Haefele -. La risposta dell’amministrazione statunitense a fine giornata è ai limiti del nostro scenario di riferimento e si avvicina al nostro scenario negativo di una tariffa del 25% su tutte le esportazioni cinesi non ancora tassate. Ci aspettiamo che la Cina risponda anche a quest’ultima escalation della Casa Bianca, come ha sempre fatto finora. Il governo cinese potrebbe imporre restrizioni agli acquisti di aeromobili statunitensi e ai viaggi verso gli Stati Uniti e inserire alcune società americane nella lista delle ‘entità inaffidabili’. La buona notizia in tutto questo è che l’economia statunitense appare ancora piuttosto solida e rimane sostenuta dal vigore della spesa al consumo”.
Nel frattempo, Jay Powell, al simposio delle banche centrali di Jackson Hole, non ha comunicato grandi novità e le sue parole hanno rafforzato, secondo l’esperto, la convinzione che la Fed effettuerà un allentamento monetario sufficiente perché la curva dei rendimenti torni ad assumere un’inclinazione positiva. “Agli attuali prezzi di mercato, sarebbero quindi necessari ulteriori tagli dei tassi per 75 pb – spiega -. Il mercato sembrava essere d’accordo, alla luce della reazione relativamente contenuta dei listini sia azionari che obbligazionari. Ma dopo il discorso di Jackson Hole sono giunte le ultime minacce di escalation nello scontro commerciale da parte del presidente Trump, che potrebbero influire sui calcoli della Fed. Pur riconoscendo le prospettive di crescita positive e la ripartenza dell’inflazione, Powell ha confermato che gli ulteriori tagli dei tassi saranno mirati a gestire i numerosi rischi negativi. Gli annunci di nuovi dazi diffusi venerdì accrescono i rischi e potrebbero indurre la Fed a intervenire in modo più aggressivo”.
Per Haefele, il rischio per l’economia e i mercati finanziari è che probabilmente, nello scenario negativo di una tariffa del 25-30% su tutte le importazioni cinesi negli Stati Uniti, anche un allentamento monetario più aggressivo sarebbe insufficiente e giungerebbe troppo tardi. “Pertanto, a nostro avviso le prospettive del mercato a breve termine dipenderanno essenzialmente dalla politica commerciale, non dalla politica monetaria – chiarisce -. Per il momento ci aspettiamo che gli Stati Uniti riescano a evitare una recessione il prossimo anno, ma questo scenario è esposto a rischi negativi”.
Quanto ai portafogli, l’esperto conclude che l’attuale contesto giustifica un approccio equilibrato all’assunzione di rischio. “Le prospettive di rialzo a breve termine appaiono limitate, ma l’allentamento monetario fornisce sostegno al mercato e non possiamo escludere una pausa, o addirittura un’inversione, nell’escalation delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Nella nostra asset allocation tattica, raccomandiamo di potenziare i rendimenti mediante una combinazione di posizioni di carry su valute dei mercati emergenti, debito sovrano emergente in valuta forte e obbligazioni investment grade in euro. Manteniamo inoltre sovrappesi selettivi su azioni statunitensi e giapponesi che dovrebbero ottenere buoni risultati se il nostro scenario di riferimento (nessuna recessione) si dimostrasse corretto. Tuttavia, deteniamo anche posizioni anticicliche, in particolare un’esposizione allo yen giapponese e un’opzione put sull’S&P 500, per gestire i rischi di ribasso”.