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I mercati temono sanzioni sul petrolio, mentre Mosca è sull’orlo del default. Ecco come mettere in sicurezza i portafogli
Dopo un venerdì nero costato alle principali Borse 400 miliardi di capitalizzazione, i mercati hanno avviato nuovamente la settimana in profondo rosso, salvo poi riprendersi parzialmente dai tracolli della mattinata grazie all’annuncio russo di una tregua temporanea per realizzare corridoi umanitari. Milano, arrivata a lasciare sul terreno oltre 6 punti percentuali, ha quindi chiuso in calo dell’1,36%. Peggio ha fatto Francoforte, che ha terminato con un rosso dell’1,98%, entrando di fatto nel cosiddetto ‘bear market’ per aver ceduto il 21% dal suo record segnato a gennaio. Parigi ha perso l’1,31% e Londra lo 0,4%.
A scatenare il panico tra gli investitori è stata soprattutto l’ipotesi di nuove sanzioni contro Mosca, che questa volta andrebbero a toccare l’energia (gli Usa stanno infatti spingendo per un blocco totale all’importazione di petrolio russo), ma anche l’incombente default della Russia. Inevitabili dunque la fiammata di petrolio, gas e materie prime, anche questa poi parzialmente rientrata, la corsa ai beni rifugio e il panico sui listini. La paura principale degli investitori è ovviamente quella di un’ulteriore spinta all’inflazione, che avrebbe un effetto mortale sulla ripresa economica globale.
Mosca sempre più vicina al default
Mentre quindi la volatilità resta altissima, sui mercati si aggira anche lo spettro di un default di Mosca. Il decreto approvato dal presidente Vladimir Putin nel weekend per consentire di ripagare in rubli i creditori di obbligazioni in valuta estera ha fatto impennare il costo per assicurare i bond governativi russi contro il rischio di un default. Secondo Bloomberg, che cita i dati di Ice Data services, la principale camera di compensazione per i Cds europei, le probabilità di un default implicite nel costo delle assicurazioni sul debito, i credit default swap, hanno toccato il livello record dell’80%. I Cds che assicurano 10 milioni di dollari di debito russo per cinque anni costano 5,8 milioni di dollari di commissione iniziale, a cui si aggiungono 100 mila dollari all’anno.
La scorsa settimana, la commissione ‘upfront’ chiesta dal mercato per assicurarsi contro il default della Russia era di 4 milioni di dollari. Ora il decreto di Putin cambia le carte in tavola, ma non tutti i regolamenti dei bond in valuta estera offrono la possibilità prevista nel decreto: per queste obbligazioni, in caso di pagamento in rubli, si potrebbe verificare un ‘trigger event’, cioè un evento che determina il default e che permette ai titolari dei cds di farsi rimborsare dalla loro controparte. Tra le obbligazioni che non consentono il pagamento in rubli figurano alcuni bond in scadenza il prossimo 16 marzo su cui devono essere pagare cedole per 117 milioni di dollari.
“I mercati locali russi hanno finalmente aperto questa settimana, con i prezzi che riflettono un default nel debito sovrano e pressoché nessun valore nelle azioni russe. Nonostante due sessioni di negoziati, non c’è stato quasi nessun progresso per un accordo sul ‘cessate il fuoco’, a causa del grande divario nelle richieste delle parti”, commentano gli esperti del team strategie di credito globale di Algebris. A loro dire, le due domande chiave da porsi per il futuro sono: la Nato sarà coinvolta nella guerra? La Russia risulterà inadempiente sul suo debito?
Per quanto riguarda la prima, la Nato ha fornito armi all’Ucraina, ma si è astenuta da un intervento diretto. “Ci aspettiamo che questa sarà la linea che permarrà, anche se i rischi di un coinvolgimento della Nato stanno aumentando, data la crescente pressione da parte degli elettori. Questo rischio non è attualmente prezzato dai mercati e costituirebbe un evento molto negativo”, avvertono.
Quanto invece al debito russo, a detta degli esperti Algebris oltre al decreto approvato nel weekend da Putin, la cosa più importante è che la capacità russa di pagare sta diminuendo rapidamente. “Oltre all’alto costo della guerra, stimato tra i 3 e i 20 miliardi di dollari al giorno, è improbabile che la Russia ottenga nuovamente l’accesso ai mercati dei capitali esteri nel medio termine, rendendo inutile continuare a onorare il debito con il rischio di esaurire le riserve estere (la Russia, in seguito alle sanzioni dei paesi occidentali, non ha più accesso a circa il 75% delle proprie riserve estere). Ci aspettiamo, dunque, che il debito sovrano russo possa andare in default”, mettono in guardia.
Parola d’ordine: proteggere i portafogli
Insomma, una situazione complicata e con poche prospettive di risoluzione a breve, che rende concordi i gestori sull’importanza di proteggere i portafogli da altri imprevisti e da un’ulteriore aumento dell’inflazione. “Gli investitori hanno a disposizione una gamma di investimenti difensivi che include esposizioni obbligazionarie a breve termine e debito governativo cinese, indici azionari e settori meno impattati dal conflitto, e dividend aristocrats dei mercati emergenti”, assicura Francesco Lomartire, Head of Spdr Etfs Southern Europe, secondo ci sono 4 aree in particolare in cui trovare esposizioni difensive o ripararsi da una potenziale tempesta.
Per il reddito fisso, secondo Lomartire, conviene considerare i titoli di stato cinesi e le strategie con bassa duration. “È probabile che gli investitori rimangano diffidenti verso gli asset rischiosi, data l’incertezza su come si evolverà la situazione. Quindi potrebbe esserci un po’ di cautela sul credito in generale e sull’high yield in particolare. Allo stesso modo, indici esposti al debito dei mercati emergenti in valuta locale potrebbero incontrare difficoltà non solo se esposti all’Europa dell’Est, ma anche perché il dollaro Usa di solito si rivaluta in questo tipo di ambiente”, chiarisce.
Per l’azionario, invece, il consiglio è quello di orientarsi sui Paesi meno colpiti, come Stati Uniti e Giappone, che oltre a fornire un certo grado di protezione data la minore vicinanza all’Ucraina, dipendono meno dalle materie prime russe. Passando ai settori Lomartire vede positivamente l’energy e l’healthcare. Infine, quarto riparo, per l’esperto possono essere i dividendi delle azioni dei mercati emergenti.
Sull’healtcare concordano anche gli esperti di Carmignac. “Per quanto riguarda le azioni, i nostri investimenti, che erano sovrappesati negli Stati Uniti, sono ora principalmente concentrati nei segmenti difensivi dell’universo healthcare e dei beni di consumo di base e/o su quelli che offrono una buona visibilità e valutazioni ragionevoli nell’IT e nei beni di consumo – scrivono -. Nei mercati obbligazionari, abbiamo coperto l’esposizione obbligazionaria comprando protezioni sul credito e il debito dei mercati emergenti e abbiamo optato per un posizionamento che ci consentisse di trarre vantaggio dal rialzo delle scadenze intermedie”.
E sulla stessa lunghezza d’onda è anche Filippo Garbarino, gestore del fondo Lemanik Global Equity Opportunities, secondo cui la crisi Ucraina ha un effetto stagflazionario, che sembra già parzialmente scontato nei prezzi correnti. “Crisi geopolitiche passate hanno generato buoni punti di entrata per gli investitori con un orizzonte temporale a medio-lungo termine. Ci sono buone probabilità che sarà così anche questa volta”, afferma, aggiungendo che l’incertezza attuale rallenterà anche le strategie di uscita della Bce e della Fed dalla loro politica di stimoli. “In questo contesto il portafoglio del fondo sta trattando in linea con il mercato in termini valutativi, su base Free Cash Flow Yield – spiega -. A livello settoriale, il portafoglio non ha banche e petroliferi, settori considerati troppo rischiosi, mentre è sovrappesato sul settore dei consumi discrezionali, sanità e industriali. È invece sottopesato sui beni di primi necessità. I tecnologici sono equipesati”.
Infine, per James Luke, gestore del fondo Schroder ISF Global Gold di Schroders, l’unico rifugio certo in questo momento è il metallo giallo. “Continuiamo a credere che l’oro dovrebbe registrare una buona performance nel 2022. Mentre il conflitto in Ucraina potrebbe sostenere ulteriori movimenti verso l’alto, con poche altre opzioni per diversificare i portafogli, crediamo che l’oro sia sulla buona strada per diventare l’unica alternativa disponibile in quanto a beni rifugio nei prossimi anni”, afferma.
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