Secondo una ricerca Deloitte sul 2023, la presenza femminile nei board tricolore è al 40% contro una media del 23%. E la maglia rosa dell’inclusione va alla finanza. Ma le ceo si fermano al 4% mentre le cfo non superano il 6%. “Parità? Servono 50 anni”
La corporate governance italiana si fa sempre più rosa. È quanto emerge dall’ottava edizione dello studio Deloitte ‘Women in the boardroom: A global perspective’, nel quale si evidenzia come il 40,4% delle poltrone nei cda italiani sia occupato da donne. Un numero in crescita rispetto all’ultimo decennio e che segna un ampio distacco non solo sulla media dei Paesi europei, fermi al 33,8%, ma anche rispetto al dato globale, pari al 23,3%. Ancora molta è però strada da fare per il nostro Paese. Tanto che, stima lo studio, la parità di generenon potrà essere raggiuntaprima di 50 anni. E il problema, in questo senso, è soprattutto uno: sono troppo poche le figure femminili a ricoprire ruoli apicali, dall’amministratrice delegato (4%) al chief investment officer (6%).
La ricerca Deloitte mostra come il trend di miglioramento italiano sia in realtà un fenomeno in atto da tempo. Il numero di donne nei board si è infatti ampliato in maniera progressiva, passando dal 29,3% del 2018 al 36,3% del 2021 fino all’attuale 40,4%. La stessa traiettoria, seppure con percentuali meno significative, è quella che ha visto i presidenti di genere femminile passare in più step dal 18,2% al 22,6% negli ultimi cinque anni. Rispetto ai chairman, le colleghe hanno però un’età media più bassa e un mandato medio più breve: rispettivamente 56,1 anni contro 59,5 e 5,5 anni contro 7,5.
E che spicca a livello globale
Si tratta di una fotografia positiva, spiega il report, soprattutto quando comparata a quella che rappresenta il panorama internazionale. Anche se in aumento di 3,6 punti rispetto al 2022, la quota di amministratrici nei board non supera infatti il 23,3% a livello globale o il 33,8% nel Vecchio Continente. E la rappresentanza femminile diminuisce ulteriormente in corrispondenza dei ruoli esecutivi più alti: con solo l’8,4% del totale appartenente al gentil sesso nel mondo e l’11% in Europa, la parità di genere per il ruolo di presidente sarà raggiungibile non prima del 2073; per quello di ceo, dove le donne oscillano tra il 6% e il 7,3% a seconda della scala, si dovrà attendere il 2111. Restano fuori le chief financial officer, che incidono per il 16,6% sul totale.
Esattamente come accaduto a livello generale, il netto aumento della presenza femminile nei board italiani non si è però accompagnato a una crescita del numero di donne che ricoprono il ruolo di ceo e cfo. Anzi: il dato nazionale sul tema, fermo al 4% e al 6%, risulta addirittura inferiore alla media europea e quella globale. Circostanza che dimostra come gli interventi normativi, dal Codice di Corporate Governance alla Legge Golfo-Mosca fino ai Principi OECD/G20, abbiano garantito equità in senso lato ma senza riuscire a influire in maniera decisiva sui ruoli apicali.
Energy and Resources il settore più virtuoso
Analizzando la presenza femminile nelle 116 aziende del campione italiano, emerge come i settori che hanno raggiunto le più alte percentuali di donne nei cda siano ‘Energy and Resources’ e ‘Financial Services’. Con un rapido avanzamento nell’arco di pochi anni, il primo comparto è infatti passato dal 29,3% del 2018 all’attuale 45% mentre il secondo ha visto un aumento dal 29,2% al 42,1%. Nel 2023 le quote rosa in ‘Technology, Media & Telecommunications’ sono invece arrivate al 40,9%, in ‘Manufacturing’ al 40,5% e in ‘Consumer Business’ al 39,4%.
Perfetti: “La normativa conta”
Secondo Silvana Perfetti, People & Purpose Leader di Deloitte Consulting, il raddoppio dei consiglieri d’amministrazione donne in appena dieci anni è un fenomeno per buona parte sostenuto dalla legislazione nazionale sulle quote rosa e dai requisiti del Codice di Codice di Autodisciplina ma non si tratta dell’unica leva. “Ci sono altre iniziative a livello normativo ed associativo, come l’uso di obiettivi e di informativa, che hanno favorito i progressi”, ha spiegato la manager. Per poi aggiungere: “Anche se non esiste un numero magico di posti che un singolo amministratore dovrebbe ricoprire, i dati a livello geografico mostrano come il movimento per aumentare la diversità di genere nella corporate governance non abbia causato quell’overboarding che alcuni temevano”.
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